cinema

Dal Ring all’ Altare: La Rivoluzione di Padre Stu

Stuart Long è un bel ragazzone del Montana dal cuore incasinato e un finale col botto.

Classe ’63, è piccolo quando suo fratello minore muore a quattro anni per meningite fulminante. La ferita in famiglia resta e Stu cresce birbante, colleziona monellate a caterva.

Frequenta nella sua città il Carroll College, un’università cattolica, curioso a dirsi perché Stu di fede non sa una pigna secca. Zero.

Il fatto è che alla Carroll hanno una squadra di football potente, e lui ama giocare.

È così che partecipa alla sua prima messa, obbligato dell’allenatore nel prepartita. Senza la minima idea su cosa diamine stia ascoltando, ma chissenefrega basta che lo fanno giocare.

Dal football passa alla boxe e continua anche dopo la laurea.

Vince parecchio, mena forte.

E mica solo sul ring, le botte le dà pure nelle risse in strada, o quando ha bevuto troppo.

A una certa però deve lasciare il pugilato per problemi alla mascella, prova a fare l’attore a Los Angeles ma rimedia solo comparsate e troppe avances squallide.

Finisce a Pasadena a lavorare in un museo, ci sa fare, è un tipo divertente. Intanto va a vivere con la sua ragazza.

Finché una sera tornando a casa in moto viene investito da un’auto, e da un’altra ancora.

Coma.

E lì ha quella che chiama “un’esperienza religiosa interessante”. Si risveglia contro ogni aspettativa medica.

Comincia a interessarsi sul serio alla fede, decide si sposare la sua ragazza in chiesa e di farsi battezzare.

Epperò, la sera del battesimo mentre l’acqua gli cade sulla testa, accade na roba strana: gli viene in mente l’idea che diventerà un prete.

Ma a lui non interessa affatto, vuole sposarsi!

Per sette anni cerca di capire, “gioca a ping pong con la chiamata”, dice, cede.

Entra in seminario.

È un futuro prete coi fiocchi, sa commuovere i cuori, sa far ridere alle lacrime.

Eppure, mentre studia per dare la vita a Dio, Dio gliela chiede in anticipo.

Miosite da corpi inclusi. Paralisi muscolare progressiva e senza cura, mortale.

Ma per Stu la malattia è “la cosa migliore che mi sia capitata”.

Vi consiglio il film, e il filmato in cui il vero Stu si racconta (qui allegato)

Che spettacolo, father Stu.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *