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Sedersi a tavola con la Santissima Trinità

Oggi, nella solennità della Santissima Trinità, don Giorgio ci ha guidati in una contemplazione straordinaria: l’icona di Andrej Rublëv, quel capolavoro del XV secolo che non è solo arte, ma teologia dipinta, un invito a entrare nel mistero di Dio. E mentre fissavamo quei tre angeli avvolti in un cerchio perfetto, ho sentito una domanda bruciarmi dentro: “C’è posto anche per me?”.

Rublëv non dipinse Abramo e Sara, ma lasciò uno spazio vuoto tra gli angeli, un vuoto che non è assenza, ma attesa. Quel calice al centro—simbolo dell’Eucaristia e del sacrificio di Cristo—è circondato da gesti silenziosi: il Padre che indica, il Figlio che acconsente, lo Spirito che sostiene. Eppure, la prospettiva inversa dell’icona—tipica dell’arte bizantina—non ci permette di restare spettatori: le linee convergono verso di noi, ci tirano dentro. Quel posto vuoto è il nostro. Il mio. Il tuo.

Don Giorgio oggi ci ha ricordato che la Trinità non è un dogma astratto, ma una famiglia che ci chiama a sedere con loro. “Guardate”, ha detto, “le loro mani non benedicono il calice per sé, ma per te“. È lo stesso invito di Gesù: “Prendete e mangiate” (Mt 26:26). Quel quarto posto non è un’allegoria: è il battesimo che ci ha inseriti nella vita divina, è la Messa che ogni domenica ci fa partecipi del banchetto.

L’icona di Rublëv è un pugno allo stomaco per un mondo che idolatra l’individualismo. I tre angeli hanno volti quasi identici, ma posture diverse: il Padre dona, il Figlio accoglie, lo Spirito unisce. E noi? Siamo chiamati a essere il quarto movimento: l’amore che risponde.

San Sergio di Radonež, ispiratore dell’icona, usava dire: “Contemplare la Trinità è vincere ogni divisione”. Oggi, in un’Europa lacerata da guerre e egoismi, questa icona ci sussurra: “Siate uno, come Io e il Padre siamo uno” (Gv 17:21). Il calice è anche il mondo da guarire, la casa da ricostruire, la Chiesa da vivere.

Alla fine dell’omelia con un amico abbiamo notato un altro dettaglio folgorante del quadro: il bordo dell’icona forma un ottagono, simbolo biblico della resurrezione (l’ottavo giorno). E così, nell’anno del Giubileo, è bello ricordarci che: “Dio non è un quadro da ammirare, ma una porta da varcare”.

Ecco la sfida: smettere di chiederci “Chi è il quarto?” e diventarlo. Prendere il posto che ci è stato preparato “prima della fondazione del mondo” (Ef 1:4). Perché, come scriveva Pavel Florenskij, “l’icona della Trinità è un test: se vedi solo tre angeli, non l’hai capita” .

Oggi, festa della Trinità, il vero miracolo non è capire Dio, ma lasciarci amare da Lui e sedere, finalmente, alla sua tavola.

POESIA

“Vieni, anche tu.
Non sei ospite, sei figlio.
Non sei spettatore, sei il quarto nome
scritto nell’acqua del battesimo,
nel sangue del calice,
nel fuoco dello Spirito che danza
sul bordo della tavola
dove la storia e l’eternità
si sposano.”

Rublëv lo sapeva: la prospettiva non è fuga,
è abbraccio.

Le sue linee non scappano verso l’infinito,
ma ti cercano, ti spingono dentro il cerchio perfetto
dove il Padre, il Figlio e lo Spirito
ti hanno già dato un posto.
Il quarto è tuo.

Il quarto è mio.

Eccomi.

Icona della Trinità di Rublev presso la Parrocchia San Lino

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