Sport e vita si incontrano: attenzione a quello che si dicono
Lo ammetto: il mio lavoro mi regala grandi privilegi oltre che grandi sacrifici, sebbene la cosa sembri ambivalente. I sacrifici sono ai più conosciuti: notti e turni massacranti, assenza in casa anche nei week end e a volte nelle festività, presenza di fronte al dolore, comunicazione di cattive notizie. I privilegi invece sono quelli che molti non si aspettano: mai avuta una strada preferenziale per fare una lastra o una medicazione, mai avuta una lettera di referenza ai corsi/convegni, mai avuto uno stipendio capace di stare dietro al caro vita (di Milano!). Eppure io di privilegi mi sento circondata: le relazioni profonde, gli incontri nutrienti, le discussioni filosofiche, i meccanismi virtuosi, il contagio del bene, la condivisione della mission, l’amore per la comunità.
Tra i tanti privilegi, capita che nelle prime settimane di Maggio, io debba seguire le prime lezioni di un corso che a 50 anni diventa obbligatorio: management di sanità pubblica. Pensavo di morire sotto i colpi della noia per sentire parlare di budget e gestione del personale. Invece eccolo il privilegio: gli organizzatori preparano un incontro con un grandissimo sportivo dal nome Andrea Zorzi, altissimo pallavolista italiano che con il ruolo di schiacciatore opposto ha vinto tutto negli anni ‘90.
Lui diventa il mio giorno fortunato: una mattinata intera trascorsa ad ascoltarlo, mentre a braccio, inchiodava tutti sulla sedia e cercava di spiegare a possibili futuri manager come applicare la filosofia dello sport al mestiere della vita, alla gestione di un reparto. E’ stato illuminante. Emozionante. Per questo, talmente una cosa bella, da volerla condividere qui. Perché tutti gli spunti lanciati e raccolti si possono declinare nella vita della aziende, nella vita delle famiglie, nella vita delle scuole, nella vita degli oratori.
Zorzi uomo, dopo aver interrotto la sua carriera sportiva, appena appena superato l’apice del successo, si dedica da autodidatta a studi di psicologia e psicoterapia, arrivando a sfruttare doti personali di introspezione e comunicazione davvero eccezionali. Oggi si mette a disposizione in maniera trasversale, del mondo del lavoro, per applicare in maniera critica, lui per primo ammette il bisogno di essere critici, la filosofia dello sport alla vita ed alla vita delle aziende.
Cosa ho portato a casa dalle ore trascorse insieme? Queste suggestioni che provo a ordinare:
- Nel mondo dello sport ci si deve focalizzare dai 12 anni in poi e poi per tutto il periodo di attività, su una cosa ed una soltanto: appunto la disciplina sportiva scelta con annessi gli allenamenti, le competizioni, l’alimentazione, il riposo, i ritiri sociali. Questa focalizzazione è funzionale per il periodo competitivo ma poi deve essere sostituita perché ha uno sguardo troppo stretto. Ad un certo punto deve arrivare altro: famiglia, leggerezza, divertimento. La polarizzazione spesso toglie creatività…infatti agli sportivi non si chiede di essere creativi, si chiede di essere ubbidienti. Primo messaggio: per quale periodo, per quanti anni è funzionale in casa o sul lavoro polarizzarsi su un unico obiettivo? E quanto ci fa perdere di bello e di altro questa polarizzazione?
- Il mondo dello sport divide i partecipanti in vincitori e vinti: non esiste una terza categoria, non esistono attenuanti, non esistono giustificazioni. Conta solo il risultato. Questa vita di performance non è sostenibile a lungo. Non è sana. Non è per tutti e soprattutto non è per tutte le età. Secondo messaggio: davvero vogliamo impostare un ambiente di lavoro dove conti solo il risultato e non conti nulla l’impegno? Davvero ai nostri figli vogliamo dire “Bravo” solo quando ha portato ha casa un 10 e non quando ha portato a casa una insufficienza pur avendo dato tutto quello che poteva in quella materia, in quel periodo?
- Nella pallavolo è obbligatorio passarsi la palla, in altri sport è vantaggioso, ma nella pallavolo è assolutamente obbligatorio altrimenti non costruisci l’azione e non fai punto. Devi ad un certo momento fidarti della squadra ed affidarti alla squadra. In campo di etica ed organizzazione del lavoro, la responsabilità condivisa è sempre più un concetto emergente. Terzo messaggio: siamo capaci di far crescere? Siamo capaci di delegare? Siamo convinti che un bravo maestro/genitore/direttore non mostri la propria grandezza ma mostri quella di chi sta con lui?
- Gli allenatori decidono e i giocatori giocano, fanno domande solo intelligenti ed accettano il contesto. Certo però l’allenatore deve denunciare dall’inizio del suo ingaggio quale sarà il suo sistema di valutazione e premiazione. E deve coerentemente, oltre che incessantemente, rispettarlo: non gioca “il favorito”, gioca “il meritevole”. Quarto messaggio: siamo capaci di spiegare che stare in panchina non è una punizione ma è un momento in cui si vede meglio dove ci si può migliorare?
- Una squadra è fatta da persone diverse che fanno cose diverse ma bene. L’interdipendenza è una benedizione per gli ambienti di lavoro. Parte dall’umiltà di dire: non posso saper fare tutto bene ma sono comunque parte del processo con il mio pezzo. Quinto messaggio: siamo capaci di vedere il processo e l’obiettivo più grande di noi? Siamo capaci di farlo vedere a chi abbiamo vicino perché si senta ingranaggio prezioso?
- Squadre diverse vincono in maniere diverse. Non esiste una regola per arrivare al successo, per raggiungere gli obiettivi, per creare armonia. Esiste il contesto fatto di uomini e donne. Esistono gli umori. Esistono le personalità. All’interno di tutto questo, la domanda del singolo deve essere solo una “io cosa posso fare bene?”. Sesto messaggio: sono disposto a stare nelle decisioni prese da altri, a stare nel cambiamento subito chiedendomi sempre “cosa posso fare di buono io?”
- Dalla sconfitta impari più che dalla vittoria. Certo la vittoria inebria, stordisce, porta gioia. E proprio per queste sue caratteristiche non permette di vedere gli errori ed i possibili perfezionamenti. La sconfitta brucia, amareggia ma insegna mille volte di più. Settimo messaggio: sono capace di trasformare una sconfitta da momento di tristezza e delusione a momento di crescita ed arricchimento?
- Per ultimo: nello sport a volte non si vince tutto ma si vince abbastanza. Magari porti a casa diversi titoli mondiali ma non il titolo olimpico. La domanda è: ho forse vinto abbastanza? Ultimo messaggio: nella vita di tutti i giorni riesco attraverso valutazioni oneste e non attraverso giudizi spietati a dirmi ed a dire “oggi abbiamo vinto abbastanza? Probabilmente abbiamo dovuto cambiare obiettivo, target, risultato ma alla fine è stato utile e di pregio?
Ecco, questi sono gli spunti che sicuramente mi ricordo e che sorprendentemente ho trovato veramente trasversali e di facile applicabilità al lavoro ed in famiglia. Il relatore Zorzi non ha mai nominato la parola ospedale, non ha mai nominato la parola casa…ha sempre parlato di campo, pallavolo, giocatori, allenatori…eppure traslare era fattibilissimo. Ho trovato intellettualmente molto onesto la cautela con cui applica la filosofia sportiva alla vita extra sportiva: davvero un campione di ragionevolezza e buon esempio.
