cultura

Maturità: cara luna, caro Giacomo, ci siamo ancora

Scuola terminata: tempo di bilanci per la maggior parte degli  studenti, tempo d’esami per una minoranza, soprattutto per chi è prossimo agli esami di stato, ex maturità. Prima prova uguale  per tutti gli indirizzi : italiano.

Chi tra i giovani di qualche decennio fa non ricorda l’horror vacui  di fronte al foglio bianco, chi non passava metà del tempo a saltare da un pensiero all’altro nella speranza , a volte delusa, di scrivere qualcosa in linea con la traccia indicata o quanto meno di accettabile. Il tutto rivolto inoltre a generazioni non digitali, che solo con uno studio ”matto e disperatissimo”  sui libri e qualche Tg del momento  potevano sperare in un  risultato migliore.

Certamente oggi il sacrificio del libero pensiero e libero scrivere si può azzerare con l’aiuto dell’IA, ultimo semidio offerto dalla tecnologia, che dal suo Olimpo esaudisce ogni preghiera richiesta.

E che importa  se l’impegno, lo studio di chi crede  ancora a uno spirito critico, all’onestà del proprio operato, vengono falcidiati da un semplice clic.

Nonostante ciò c’è chi confida  e crede ancora in un’umanità corretta, quella basata sulla ricerca, sul lavoro, sulla dedizione e riesce ad attingere a piene mani alla conoscenza appresa a scuola e alla letteratura in particolare, come il testo  che segue di una studentessa  prossima alla  maturità.

Caro Giacomo,

spero tu possa perdonarmi se nel rivolgermi a te userò solo il tuo nome e non il tuo famoso cognome: Leopardi, ma vedi, tu, per me sei ora quel ragazzo di vent’anni che scriveva per alleviare il suo dolore e per guarire le sue ferite. Quella schiena che non ti permetteva di correre con i tuoi fratelli o quel fisico tanto fragile che ti costringeva a letto per riposare; un padre tanto severo da non permetterti di vedere il mondo con occhi diversi ed una madre tanto austera da non farti conoscere il beneficio di una carezza. Queste sono solo alcune delle tue sofferenze, quelle che hanno segnato il tuo modo di vivere, ma soprattutto di scrivere. Tu con grande coraggio le hai raccolte e le hai rese cardine per formare il tuo pensiero. Non biasimo il tuo pessimismo e nemmeno la tua scarsa fiducia nella Natura, quella stessa Natura che ci mette al mondo per poi regalarci attimi infimi di felicità, eppure io continuo a vedere molto altro in ciò che scrivevi, in ciò che sottovoce urlavi al mondo intero. A differenza di molti critici, che se solo leggessero queste parole mi deriderebbero, io percepisco una poetica che guarda all’immenso, ai giovani e non solo una poetica di puro e schietto pessimismo. Tu sei il ragazzo che meglio ha saputo scrivere le incertezze della sua età: gli amori non corrisposti, le emozioni, la ricerca d’affetto e di successo; il successo che cercavi oltre la siepe… Si, io credo che come tutti i ragazzi di vent’anni tu cercassi questo. Bada bene però, il successo non si traduce in altro se non che in felicità. Non è poi questo lo scopo della vita? Tu non l’hai sempre trovata, sei anche arrivato a dire che la felicità era solo un’illusione generata per aumentare la sofferenza, ma secondo me in cuor tuo sapevi che essa poteva nascondersi ovunque, anche al di là di un ostacolo visivo, uditivo, fisico. Oggi viviamo in un mondo veloce, un mondo che non ci dà il tempo di ammirare la luna silenziosa nel cielo e domandarci cosa ci faccia lassù, oppure di sentire i passeri cantare. Credo che non ti sarebbe piaciuto, non avresti consultato tutti i tuoi libri perché un’invenzione chiamata “internet” l’avrebbe fatto per te, non avresti più scritto sulla carta perché con un computer avresti potuto facilmente aprire un documento word e digitare lì i caratteri, saresti andato tanto veloce da non avere l’occasione di perderti nell’infinito. Io questo vorrei impararlo da te, vorrei sapermi fermare e ammirare le piccole cose. L’ho fatto in passato, lo facevo con nonna quando, nel buio della campagna, guardavamo le lucciole e la luna, mentre lei mi recitava la tua “Alla Luna”, ma poi con la sua morte ho smesso di fare caso a tutti ciò che si nascondeva dietro l’ordinario. Solo ora mi rendo conto di quanto fosse importante cogliere i segni di una realtà coperta dal velo dell’abitudine e di quanto tu fossi indispensabile per il nostro rapporto, di come le tue poesie fossero il ponte per comprenderci a vicenda. Ora mi manca, ma non smetterò mai di cercarla nella Luna e per questo ti ringrazio Giacomo e non te ne sarò mai grata abbastanza. Tu sei stato ispirazione pura per me, ma anche per tanti artisti, filosofi e scrittori. Io che invidio la tua conoscenza di molteplici lingue e vorrei un giorno arrivare a parlarne tante quante ne parlavi tu. Tu te ne servivi per comprendere meglio i testi antichi, i libri scritti da autori distanti dai tuoi usi e costumi ed io vorrei fare lo stesso, perché solo attraverso la comprensione profonda di un pensiero si può carpire la sua vera essenza. Vorrei arrivare a capire gli umori di un popolo e la cultura delle diverse nazioni che si ripercuote poi sugli equilibri geopolitici, sulle guerre e sulla pace. Vorrei dare la possibilità ad ogni persona nel mondo di parlarmi attraverso il proprio cuore e non attraverso la propria mente, come tu facevi con i tuoi amati libri, tu che volevi comprendere il loro significato sincero per risolvere i tuoi dubbi. Giacomo, tu forse non hai avuto la possibilità di vederlo ma c’è un quadro che mette olio su tela la tua concezione dell’Assoluto, ovvero “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar Friedrich. L’artista tedesco nel 1818 ha rappresentato il tuo desiderio di oltrepassare l’apparenza e toccare l’Assoluto, ma anche il tuo sentirti piccolo di fronte alla grandezza del cosmo. Ma sai perché Friedrich aveva deciso di dipingere il protagonista di spalle? Lo ha fatto per far in modo che l’osservatore potesse immergersi in quello scenario nebbioso e potesse in qualche modo toccare il proprio infinito. In fondo non c’è molta differenza con la tua poesia “L’Infinito”, perché anche tu l’hai creata per te, ma soprattutto per gli altri, per far sì che tutti ci potessimo fermare, ricordare di guardare oltre e percepire come te quanto “il nostro naufragar sia dolce in questo mare”.

Grazie Giacomo, Con immensa stima

Martina

Quindi ragazzi, abbiate fiducia, avete un mondo dentro, aprite le vostre menti, confidate nella formazione ricevuta e nelle vostre capacità: un grande risultato non rende migliori se immeritato, un piccolo risultato, ottenuto onestamente,  migliora  non solo il singolo, ma la stessa comunità perché prepara dei veri cittadini …allora  buon esame, ma soprattutto buona vita.

Alberta Iacobini

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