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Ho votato soprattutto per dare l’esempio

Non voglio parlare del Sì o del No. Non voglio convincere nessuno. Non voglio neanche entrare nel merito del referendum.
Voglio solo dire una cosa semplice: io, domenica, sono andato a votare.

E non l’ho fatto perché mi sentissi particolarmente coinvolto o entusiasta. L’ho fatto per una ragione molto concreta: ho due figli, uno di 18 anni e uno di 19.
Il primo ha votato per la prima volta. Il secondo alla sua seconda esperienza.
E io dovevo esserci. Dovevo farlo.

In Italia, lo sappiamo, al referendum si può anche non andare. È previsto, è legittimo, è un diritto. Ma ce n’è uno ancora più prezioso, secondo me: il diritto di essere esempio.

Non ho votato per cambiare il mondo, ma per mostrare un gesto.
Non ho votato per fede politica, ma per coerenza educativa.
Non ho votato per dovere, ma per amore.

Perché i figli ci guardano. Sempre. Anche quando sembrano distratti, anche quando non ci ascoltano. E quel giorno, davanti alla possibilità di partecipare o restare a casa, ho pensato: “Che tipo di padre voglio essere?”

Sono uscito, ho preso la tessera elettorale, sono entrato in cabina. Ho fatto quel che si fa, e sono uscito.
Tutto qui.
Un piccolo gesto, forse inutile per molti. Ma per me no.

Perché in una democrazia — con tutti i suoi limiti, i suoi difetti, le sue fatiche — è importante esserci.
E io, quel giorno, ho voluto solo esserci. Per i miei figli.
Per far vedere loro che la libertà è anche questa: alzarsi, scegliere, partecipare.

Magari un domani dimenticheranno per cosa abbiamo votato, ma spero si ricorderanno che il loro papà, quel giorno, ha fatto il suo piccolo gesto da cittadino.
Non per cambiare il mondo, ma per insegnare che si può provarci.
E che partecipare è sempre meglio che arrendersi.

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