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“I bambini sono come certi uccelli che in gabbia muoiono” don Zeno Saltini come lo racconta Oriana Fallaci (1952)

“È stato tremendo” disse don Zeno. Non immaginate lo strazio di quei bambini strappati per la seconda volta alla loro mamma. Avevano perso la mamma e l’avevano ritrovata. Ed ora l’hanno ripersa. Sono arrivato a dire cose terribili, in quei giorni: mi chiedevo perché Dio non li avesse fatti morire con la loro madre”.

Nella saletta di un bar… Don Zeno si passava le mani sui capelli bianchi e piangeva. “Vedete – disse – i bambini non sono come noi. Sono come certi uccelli che in gabbia muoiono. Per loro essere in un orfanotrofio è come essere in gabbia, capite? Quattro bambini, alcuni mesi fa, abbiamo dovuto riprenderli, perché in gabbia morivano. Un giorno le mamme andarono a trovarli e loro si buttarono in ginocchio, capite? In ginocchio, a supplicarle di riprenderli. Perfino le suore si misero a piangere e li lasciarono andar via. Un mese e mezzo ci è voluto per farli nuovamente sorridere. Spesso mi scrivono e sono lettere strazianti”.

Don Zeno ne aveva una cartella piena.

Eccone alcune:

“Caro don Zeno, ieri abbiamo saputo che dobbiamo andare in collegio. Non so se ti darà un dispiacere, ma in collegio non ci voglio andare. Ho perduto la mamma e la casa una volta e non sono disposto a perderla la seconda volta. Questa è la mia casa e via non vado a qualunque costo. Provino loro, quelli che ci mandano in collegio, a rinchiudersi fra quattro mura, prima di mandarci noi. Prega per noi e per le nostre mamme. Tuo affezionatissimo figlio Claudio di Norina”.

“Caro padre, a nome di tutti i tuoi figli e figlie ricordandoti con queste poche righe a te che puoi farci felici. Sappiamo che il giorno 18 (novembre) a Bologna ci sarà un processo sul conto di Nomadelfia. Babbo, tu sai e ci hai predicato a noi il Vangelo e noi lo mettiamo in pratica, ricordati che il giudice è Gesù Cristo e noi dobbiamo osservare le leggi…”.

“Caro padre, ti scrivo a te perché solo tu sei mio padre. E mi rivolgo a te perché mi hai dato sempre buoni consigli, che non me li ha dati nessuno e se non venivo a Nomadelfia sarei diventato un delinquente invece il Signore mi ha condotto qua dove c’è la fratellanza e mi ha dato in dono la Mamma che nel passato avevo perso il vizio di chiamare la Mamma. Tuo figlio Gino di Enrica”.

Don Zeno non aveva mai perso il sorriso e l’aria serena durante i due giorni di processo intentato da due creditori…

Era stato un processo insolito. E, ora, molti pensavano all’aria di imbarazzo sospesa nell’aula quando don Zeno, piccolo e dimagrito, rinvoltato nel vecchio mantello, si era messo a sedere sulla panca degli imputati accanto ai Piccoli Apostoli Irene, Ugo e Corinna. Nell’aula c’era stato un momento di silenzio. Oltre le transenne, nel recinto del pubblico, un centinaio di babbi e mamme di Nomadelfia sembrano pietrificati. Solo uno o due avevano trovato la forza di sorridere e fargli un cenno di saluto con la mano.

… Quanto il Pretore ebbe letto la sentenza che mandava assolti don Zeno e i tre Piccoli Apostoli dall’accusa di truffa “perché il fatto non costituisce reato”, giovedì 20 novembre, nell’aula scoppiò un applauso. Immediatamente don Zeno sentì che gli occhi gli bruciavano, capì che stavano per diventare rossi e che fra poco avrebbe pianto come un bambino.

Ficcò in testa il basco stinto che una volta era blu, si allargò intorno al collo il maglione come se gli mancasse il respiro, si girò intorno alle spalle il vecchio mantello nero e tentò di uscire solo dall’aula.

Fu raggiunto, fermato, circondato. Chi lo abbracciava, chi gli batteva le mani sulla schiena, chi tentava di baciargli la destra, e tutti avevano qualcosa da dire o da proporre.

Oriana Fallaci

(EPOCA, Milano, 6 dicembre 1952)

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