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La scuola è, da sempre, il luogo della “sicurezza”, non raccontiamolo “insicuro”

   Si sente spesso dire che è bene sì riaprire le scuole il prima possibile, ma è necessario farlo “in sicurezza”. Con ciò si finisce con il presupporre – più o meno consapevolmente – che la scuola sia un luogo “insicuro” e che, se non si prendono seri provvedimenti, non sarà in grado di fronteggiare le sfide dei prossimi anni.

Respingo radicalmente questa idea. Non solo la scuola è un ambiente sicuro, uno dei più sicuri che vi siano in Italia, ma è per antonomasia il luogo della sicurezza, che dà sicurezza sia a noi che ai nostri figli. L’istituzione scolastica vive nei ricordi – vicini e lontani – come un vero e proprio punto fermo, una delle poche certezze della vita. Cascasse il mondo, ma la scuola sarà sempre lì, proprio come la maestra Pina con i suoi occhialini sul naso o la prof Galletta con quei capelli vaporosi e il tailleur terribilmente fuori moda. La scuola è un luogo di pace, di incontro, di scambio, di serenità.

   L’arrivo improvviso della pandemia influenzale ha preso molti di noi alla sprovvista; c’è chi ritiene che la situazione si sia rivelata meno grave del previsto, chi invece crede che grazie agli interventi del governo abbiamo scampato un pericolo gravissimo. Comunque la si pensi è bene, credo, osservare la realtà da un altro punto di vista. Usciamo per un momento dalla nostra storia e poniamoci, per qualche istante, dal punto di vista della istituzione scolastica. Se per noi, uomini del XXI secolo, la epidemia da corona virus è stata una novità assoluta, altrettanto non può dirsi per la scuola.

Antica secoli, forse millenni, l’istituzione scolastica ne ha viste di tutti i colori. La scuola italiana è figlia di quella del regno sabaudo, a sua volta parente stretta dei collegi tenuti dai Gesuiti. Anche questi istituti di educazione, poi, vantano i loro bei gradi di parentela e andando a ritroso ci perderemmo nei meandri della storia. In quelle morte e passate stagioni in cui – come diceva Leopardi – alle volte è dolce naufragare.

   Più o meno consapevolmente – direi più inconsapevolmente che consapevolmente – la nostra scuola ha ereditato dai propri progenitori un po’ di tutto: edifici, strutture, ritualità, ambienti, spazi e comportamenti… che a ben riflettere si rivelano molto più adatti ai nostri tempi di quanto potevamo credere. Ponendoci dal punto di vista della scuola, infatti, un’epidemia non rappresenta nulla di nuovo. Peste, vaiolo, colera, orecchioni, morbillo, scarlattina, pertosse, spagnola, asiatica sono solo le più celebri delle malattie con cui la scuola ha dovuto fare i conti, costruendo nei secoli le sue difese. La scuola che ci è stata consegnata prevedeva le epidemie ed era ed è progettata per contenerle. Le aule, soprattutto quelle dei vecchi edifici, sono ampie e spaziose. I soffitti alti 4-5 metri, i pavimenti marmorei e lucidi. Le pareti per lo più bianche, la mobilia ridotta all’osso. Le finestre sono solitamente molto grandi; e le aule soleggiate e aerate ospitano comunità di 20-25 alunni in spazi che di media superano i 40 metri quadrati. Le cattedre sono distanziate dai banchi i quali a loro volta sono disposti in modo da distribuire equamente gli alunni nello spazio a disposizione. La frontalità è ridotta al minimo e la condivisione disincentivata in tutti i modi. Ciascuno ha la sua sedia, la sua porzione di banco, i suoi libri, il suo materiale scolastico.

Gli spazi in comune sono pochi e ideati con un preciso criterio di proporzionalità tra metratura quadra e numero di ragazzi; la ricreazione si svolge in classe, nei cortili aperti o in lunghi molto ampi come i corridoi. Le scale hanno per lo più cantonate graduali, sono spaziose e accoglienti. Non è possibile introdurre in classe oggetti personali e nessuna persona esterna alla comunità educativa può entrare a scuola, men che meno nelle aule.

Quando un ragazzo manca deve giustificare la propria assenza sotto la responsabilità dei genitori e, fino a non molto tempo fa, era richiesto un certificato che attestasse il perfetto stato di salute di ciascun alunno che avesse superato i quattro giorni di assenza.

   La tv e  il cinema ci hanno spesso consegnato un’immagine distorta e confusa della scuola. Esistono, è vero, “classi pollaio” e locali fatiscenti. Ma fortunatamente la normalità è ben altra. In ogni caso ciò è imputabile a chi non fa bene il suo lavoro, non certo della istituzione scolastica. Più che cambiare e innovare, dunque, si tratta io credo di tornare alle origini.

Ad esempio, nei nostri ricordi di infanzia viveva a scuola una figura quasi mitica: il medico scolastico. Un dottore che visitava i ragazzi, controllava il loro stato di salute ed evitava quella pantomima a cui gli insegnanti sono oggi abituati: “prof mi fa male la pancia”, “maestra mi gira la testa” e l’insegnante – senza poter distinguere tra malattia e malizia – che risponde con una alzata di spalle: “vuoi telefonare a casa?”.

Altra figura inspiegabilmente sparita dalla scuola è quella del “supplente”. Un tempo quando un insegnante si assentava veniva subito rimpiazzato da un collega, pronto a prendere la gestione della classe e del programma. Oggi non è più così. Ciò spinge il professore coscienzioso ad andare al lavoro anche se non in perfetta salute – con i rischi che immaginate – ma soprattutto crea il fenomeno dei cosiddetti “divisi”. Alunni senza prof e senza meta che girano per la scuola con la sedia in mano, cercando ospitalità in questa o quell’aula.

   La scuola può e deve diventare più sicura. Bisognerebbe assumere dei supplenti e magari ripristinare il medico scolastico, rinnovare il parco dei banchi e delle sedie e “adeguare” i nuovi edifici ai vecchi, che erano infinitamente migliori. Se proprio lo si ritiene necessario, poi, si può prescrivere che lo svolgimento della ricreazione avvenga in aula, senza l’utilizzo si spazi comuni. Sopratutto, però, bisogna avere fiducia. Da sempre il compito degli insegnanti è quello di diffondere presso i propri alunni le giuste pratiche igieniche. Le maestre invitano i più piccolini a togliere le dita dal naso e a non starnutire in faccia ai compagni. I prof, a loro volta, devono contrastare gli sbadigli leonini – che mettono in mostra le fauci del ragazzo – e la naturale antipatia che molti adolescenti hanno nei confronti del sapone e talvolta perfino dell’acqua.

Ma la scuola lo ripetiamo è un luogo già molto sicuro, che dà sicurezza e soprattutto che genera sicurezza. Chi crea insicurezza è chi dipinge la scuola come non è e chi cerca in tutti i modi di trasformarla, snaturandone l’essenza.  

Paolo Velonà

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