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Beato l’uomo che si compiace della legge del Signore

La parola di Dio di questa domenica ci fa riflettere sul problema della condotta morale del cristiano, che viene illustrato tre volte : nella prima lettura, con un oracolo del profeta Geremia ; poi nel salmo responsoriale, che ci parla delle due vie ; in fine nel Vangelo, con la duplice serie di « beati » e « guai ». Il brano di Geremia è composto da brevi frasi di stile sapienziale, in cui sono contrapposti il destino dell’empio, che mette la sua fiducia nel sistema di valori puramente umani, e quello del giusto che si affida a Dio. Il profeta prospetta il destino di morte che attende l’empio. Le immagini accumulate ( la steppa priva di frutti, il deserto arido e la terra sterile, senza vita) per esprimere la condizione di chi si allontana da Dio pongono in risalto l’esito di un esistenza senza sbocco. A questo quadro negativo viene contrapposto quello positivo del giusto « che confida nel Signore è la sua fiducia ». Anche in questo caso la benedizione viene esplicitata con una serie di immagini, tutte attorno al tema della vita : « Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, e verso la corrente stende le radici ; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi ; nell’ anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti »

Nel contesto dell’alleanza la benedizione e la maledizione sono riservate rispettivamente a chi osserva o viola i dieci comandamenti. Questo aspetto etico-morale è più marcato nel salmo responsoriale (salmo1) che afferma : « Beato l’uomo che si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte ». Le due Vie, quella dei giusti e quella dei malvagi, sono contrassegnate dall’opposta prospettiva di una vita feconda o di un esistenza sterile. Nel Vangelo, il solenne discorso delle Beatitudini riprende e sviluppa il tema fondamentale già annunciato nel discorso programmatico di Gesù nella sinagoga di Nazareth (cf. Terza domenica ordinaria) E’ la « buona novella » indirizzata soprattutto ai poveri e agli infelici. Per contrasto, quasi il rovescio della medaglia, ci sono alcune « cattive notizie » per i ricchi, i sazi, i soddisfatti. Quindi, Gesù annuncia la venuta del suo regno come un capovolgimento radicale della situazione presente. La sua giustizia ristabilisce l’equilibrio rotto dall’egoismo umano.

E’ quanto proclama Maria facendo eco al cantico di Anna (1 Sam2, 4-5), nel Magnificat : « Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili ; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rinviato i ricchi a mani vuote »

Non siamo di fronte a una specie di consacrazione della povertà, quasi fosse una condizione ideale per accogliere il regno di Dio. E neppure si deve credere che dipenda dal fatto che i poveri siano moralmente migliori dei ricchi. L’ideale non è la povertà. Piuttosto per i poveri si apre una speranza meravigliosa. Dio è stanco di vederli soffrire e ha deciso di mostrare a loro che egli li ama.

La povertà rimane un male contro cui bisogna lottare senza tregua. L’ideale, quindi, è l’amore-carità che si esprime nella condivisione e della trasformazione dei beni materiali in strumento o « sacramento » di fraternità. D’altra parte, saremo giudicati proprio sul nostro atteggiamento nei confronti di quelli che hanno fame, sete, sono senza vestiti, senza tetto, malati, prigionieri (cf. Mt 25) : « quello che avete fatto a costoro lo avete fatto a me », dichiara Gesù.

I quattro « guai », che fanno da contrappunto alle quattro beatitudini, sono una constatazione amara (come siete infelici, nonostante le apparenze) nei confronti dei ricchi, ed un severo ammonimento contro il pericolo delle ricchezze. I ricchi corrono il pericolo di non vedere altro orizzonte del presente e dei beni materiali ; il pericolo di rinchiudersi in se stessi e non accorgersi degli altri, specialmente di coloro che sono poveri ; il pericolo di lasciarsi sequestrare il cuore dalle ricchezze che finiscono per asservirli e monopolizzare il posto che spetterebbe a Dio. I ricchi sazi, in definitiva, sono sfortunati perchè hanno la vista corta, sono schiavi delle cose che diventano cose degli idoli, si preoccupano soltanto di loro stessi, e il prestigio o successo li chiudono spesso nei confronti di Dio. Essi sono chiamati disgraziati ed infelici perché la loro sorte finale sarà il rovescio di quella presente.

Il migliore commento di questi quadro negativo è la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro. La morte cambia radicalmente la condizione dell’uno e l’altro. Tutto sembra giocarsi sull’uso saggio delle ricchezze e c’è d’altra parte l’amore preferenziale del Signore verso tutti coloro che sono privi del necessario per vivere con dignità e libertà .

Don Joseph Ndoum

                                                                  Iª lettura Ger 17,5-8 dal Salmo 1 IIª lettura 1Cor 15,12.16-20 Vangelo Lc 6,17.20-26

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