cultura

Come un adesivo – un racconto di Benedetta Bindi

“Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono.”
ARISTOTELE

Io non volevo, l’ho detto a Michela la mia coinquilina, non volevo assolutamente, solo che Federico mi ha riaccompagnato a casa, pioveva, una pioggia terribile, siamo passati davanti ad un bar, lui mi ha chiesto se mi andava una birra. Io adoro bere, mi distende i pensieri. L’abbiamo sorseggiata in macchina, lui ne ingoiava un po’, poi parlava, guidava, ed ogni tanto mi guardava. Io gli tenevo la bottiglia, mi piaceva toccare qualcosa dove aveva messo le mani lui. Potevo sentirne la
presenza. La mia l’ho scolata di fretta, ero agitata.

È un bel tipo il papà delle gemelline. Il primo giorno che ho iniziato a fare la baby sitter a casa sua, appena si è presentato ho pensato : “Di un uomo così mi potrei innamorare !”Io ho tanta immaginazione, troppa ! Sono fatta così, ho i pensieri che mi ballano nella testa. Michela dice che sono peggio di un uomo. E poi parlo, parlo troppo, sono un colabrodo. In macchina sentivo l’alcol che iniziava a farmi effetto, gli ho guardato le mani erano eleganti come una ballerina, poggiate sul volante come fosse stato un pianoforte. Le sue dita, mi hanno fatto venire in mente una canzone che metteva sempre mia madre. Lei è stata poco con me e mio fratello, la ricordo sempre profumatissima, con la sigaretta in mano, mi carezzava la testa sdraiata sul letto con me. Cantava, cantava spesso: “Mani grandi, mani senza fine” poi prendeva le mie, facevamo palmo contro palmo. Sorridendo mi diceva :”Quando saranno come le mie, sarai una donna!”, poi riprendeva a cantare. Sentivo la sua voce ricoprire le pareti della nostra stanza “Tu per me sei sole e cielo, tu per me sei tutto quanto…” e mi abbracciava stretta, stretta.

Io quella sera, con lui nell’abitacolo, mi sono fatta prendere dalle note di quella canzone, forse perchè quando ci si innamora si sente una musica dentro. Mi sono messa a fissarlo trovavo belle nel suo profilo le rughe intorno agli occhi, sulla guancia. Segni di una vita, che volevo far mia, o almeno farci una piccola parte. Così appena si è girato verso di me, mentre il semaforo segnava il rosso, ho fatto gli occhi dolci, mi vengono in coppia, irrimediabilmente, insieme ad un sorrisetto ebete, quando ho i pensieri. Michela si arrabbia con me, dice che non mi contengo, che porto troppa gente a casa. Un giorno mi ha detto : “Questo appartamento non è un bordello!”. Dice che sono una poco di buono, che non mi hanno educato. Lei ha perso i genitori prestissimo, l’ha cresciuta sua zia. È una donna grassa, sempre ingioiellata, profuma più di mia madre ed ha tre appartamenti affittati a Parioli. Più questo dove abitiamo, vicino all’università, che ha dato in usufrutto alla nipote. Lei abita all’Aventino, una volta sono andata cena a casa sua con Michela. Ha una reggia, mica un appartamento normale. Il salotto è così grande che ci potresti pattinare. Vive un’indiana con lei, è profumata, con i cappelli lucidi lucidi, neri, tirati indietro in una cipollina. Ha al centro della testa un punto rosso, si chiama il Bindi, mi ha detto la mia amica. Ha vari significati, me li ha elencati tutti, ma mentre li diceva, mi sono messa a pensare che era meglio essere in prigione che in quella casa, a fare da domestica a quella donna, grassa e ingioiellata. Quando Michela mi ha chiesto se avessi capito, ho annuito con la testa, speranzosa che non mi chiedesse nulla. Fortunatamente è arrivata la signorina servendoci il pasto, e abbiamo iniziato a mangiare in silenzio. L’indianina metteva le portate nei nostri piatti, e sorrideva, silenziosa e diligente come un soldatino. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Quel puntino rosso, mi aveva rapito. Secondo me, lo fanno per scacciare i pensieri di ribellione, le diranno sin da piccole, che quando sentono la rabbia invaderle, devono toccarsi in mezzo alla fronte. Mia mamma ricordo, che quando a me e mio fratello ci veniva il mal di testa, apriva un tondino d’ottone, che teneva sempre nella borsetta. Si chiamava ,”Balsamo di tigre”.
Lo apriva, e ce ne metteva due puntini sulle tempie. Aveva un odore fortissimo. Lo massaggiava finchè non si assorbiva, e ci spariva ogni cosa. O forse era solo il fatto di farci curare da lei, che ci faceva stare bene.

Mamma era come il mago della lampada di Aladino, appariva e scompariva in un attimo. E l’unico desiderio che le chiedevamo era restare con noi, l’unico che lei non poteva esaudire. E ci mancava sempre tanto. Forse la signorina conosceva, l’olio di tigre. Magari nel suo paese si usa. Ma non ho potuto chiedergli nulla. La vecchia è prepotente, dice che le pietanze vanno onorate, e non si deve chiacchierare a tavola, tanto meno guardare il telefono. Che idee folli, mi guardava con un ghigno, nella speranza sbagliassi qualcosa, o mi sporcassi, per riprendermi. Appena saprà cosa ho combinato, rimprovererà la nipote, perché mi ha fatto vivere sotto il suo tetto. Mi dispiace, mi dispiace tanto dargli tutta questa soddisfazione, a quella prepotente. Non ha mai lavorato, ha sempre vissuto protetta con gli affitti dei suoi appartamenti, per questo è arrogante e gli piace comandare tutti. La mia amica dice che mia madre è matta, una che aveva una famiglia e l’ha lasciata andare alla deriva, non è normale. Come se alla normalità potessimo dargli una definizione precisa! Per mia madre è stato normale vivere, fare ciò che gli dettava il cuore. Perché sua zia è normale? Una che a cena pretende il silenzio? Mentre la tavola da quando esiste, e non si mangia più per terra, intorno al fuoco, come gli uomini delle caverne, è un luogo per parlare. Dovrebbe andare più in chiesa, se vuole il silenzio .Ma lì chissà quante colpe dovrebbe confessare. Ha avuto tre mariti, sono morti tutti, o li ha ammazzati lei, o porta iella.

Invece Michela la difende, dice è tanto buona, le ha dato una casa, le paga gli studi. Certo era la sorella di suo padre. A me dice sempre, che mi vuole bene. Che ha capito subito che ho un gran cuore, altrimenti non mi avrebbe affittato una stanza a casa sua. Peró mi ripete sempre, che sono il frutto di una matta, non é colpa mia, ma ora sono cresciuta e devo staccarmi dal mio passato. Però l’altro giorno mi ha ferito, quando mi ha urlato che sono disonesta. Mi ha detto che Margherita, la moglie di Federico, mi ha accolto in casa come una figlia, ed è vero non posso dargli torto. Mi ha regalato tanti vestiti, lei ha il guardaroba pieno. Lavora nella moda, gira il modo. Frequenta la palestra, dove va la mia amica. Devo tutto a Michela, se ho trovato lavoro a casa loro, mi dispiace averla delusa, lei è sempre buona con me. Mi cucina, mi fa il bucato, una santa! Fosse per me mangerei la prima cosa che trovo. E dormirei anche in un sacco a pelo. Ho lo spirito gitano nel sangue, o semplicemente sono una grande pigrona. Prima di fare la baby sitter, avevo trovato un’occupazione, in un’agenzia immobiliare. È stato tutto il frutto di un incontro fortunato, al proprietario mio fratello aveva aggiustato l’auto, quando era venuto in vacanza in paese. Era stato gentile, mi aveva visto su una sedia, buttata tra i bulloni. Io lo guardavo, con i miei occhioni grandi, neri, più scuri del grasso che ha sempre sulle mani mio fratello. Il signore ha detto che gli serviva
un aiuto, a Roma, in ufficio. Non so perchè l’abbia detto, forse l’ha capito dal mio sguardo che morivo dalla voglia di andarmene da lì.

La tipa che lavorava con lui, era andata in maternità. Sono partita per Roma da un giorno all’altro, ma anche lì ho combinato un casino. Io mi ci appiccico ai casini, come fossi un adesivo. Lavoravo, imparavo un mestiere, ma non mi trattenevo e ho iniziato a fare gli occhi languidi. Lui è impazzito per me. Lui aveva preso a sussurrami spesso all’orecchio che quell’ufficietto non aveva più pareti da quando ero con lui, come diceva un altra delle canzoni preferite da mia madre. Insieme
a me si sentiva libero come un gabbiano. Io lo guardavo e provavo pietà per lui, aveva due occhi celesti, grandi e a palla. Mi faceva tenerezza, io non mi potrei mai innamorare di un uomo che mi mette tenerezza, ne ribrezzo, ne tristezza. Tutto ciò che finisce con “ezza”, non fa al caso mio, nemmeno bellezza, i belli amano più lo specchio che gli altri, questo mi va di traverso. In ogni caso sua moglie ha capito che Giuliano era innamorato di me, perché quando veniva in ufficio, tenendo per mano il loro bambino, anche lui con due occhi a palla azzurri cielo, suo marito diventava rosso come un peperone. Lei mi ha fatto licenziare. Lui nel dirmelo nemmeno mi guarda in volto, mi ha detto che altrimenti sua moglie lì avrebbe cacciato di casa. Lei era ricca, lui non aveva nulla, e io nemmeno. Non era bello, con una pancione enorme, pelato, e quegli occhi che parevano ci avessero delle molle dietro l’iride. Ma era elegante, galante e profumato. Mi piaceva il suo odore, mi rimaneva tutta la sera attaccato alla pelle.

Questa cosa qui dell’olfatto me l’ha appiccicata la mamma. Lo diceva sempre a me e mio fratello, lavatevi é bello quando profumate di buono. Stavamo tutto il giorno insieme, io e Giluiano. In ufficietto del centro, piccolo piccolo è normale che ti vengano i pensieri. Trovo strano se ad una ragazza di ventitre anni, non venissero certe pulsioni. Non sono disonesta è solo che ho una vocazione per gli sbagli. Michela mi ha giudicato male anche per questa storia, cancellerebbe la mia vita, sempre, la trova scritta male. Si era impuntata a volermi portare in palestra, ma io ho sempre rifiutato. Una volta sono andata a prenderla e ho visto uscire di li due ragazzi belli e allegri. Io mi metterei a parlare con tutti, non riuscirei ad allenarmi e poi sono pigra, troppo pigra, se devo muovermi, vado a fare una passeggiata in centro. Roma è così bella. Michela invece figuriamoci faceva le sue lezioni zitta e muta. Lei è fidanzata da anni con un tipo che studia in Inghilterra, uno scienziato. L’ho visto due tre volte, silenzioso, con degli occhialini tondi, brutto no. Io trovo sempre un particolare che mi affascina, in ogni uomo. Se non ha un bel viso, magari hai bei denti, se è fatto male, hai bei capelli, ognuno di noi ha qualcosa di buono, lo ha sempre. Michela venera il suo fidanzato, come fosse un Dio. Gli è fedele, io non potrei essere fedele così a distanza. Forse non potrei essere fedele, nemmeno avendolo alla porta accanto, chissà, non mi sono mai innamorata, o forse adesso si.

Federico mi si è appiccicato in testa, come il Bindi, il puntino rosso dell’indianina.

Mi manderanno via anche da casa dei Marini, ne sono certa. Mi dispiace, ero legata alla gemelle, così ubbidienti, educate, non faticavo con loro, si vedeva la televisione, si mangiava le patatine. Oppure giocavano con le barbie e io mi mettevo al telefonino, passavo la giornata tranquilla e mi pagavano bene.
Ho avuto paura che Michela mi mandasse via, dopo quello che ho combinato. Ha affittato una stanza, perchè i soldi non sono mai abbastanza per nessuno. Ed anche perchè le fa piacere avere della compagnia. Aveva appena messo l’annuncio sul giornale , quando l’ho chiamata, perchè la ragazza che c’èra prima di me, era tornata in Svizzera. Era una biologa. Mi ha detto sempre zitta, seria, seria. Poi sono arrivata io. Ma io non sono stata quella giusta per lei, l’ho delusa. Allora sono scappata la mattina presto. Lei la sera prima della mia partenza, mi ha detto che non voleva ascoltare le mie scuse, io volevo spiegarmi, l’ho pregata di ascoltarmi. Lei mi ha chiuso la porta in faccia dicendomi che sono un’egoista irriconoscente. Allora mi sono tenuta le parole dentro, mi è sembrato che mi strozzassero il fiato.
Ho sentito un nodo alla gola, ho avuto paura di morire soffocata. Non respiravo, e il cuore mi batteva forte. Ripensavo alla sera prima, con quel temporale, con quella birra nella pancia, mi sono venuti gli occhi dolci, quasi contro la mia volontà. Lui ha posteggiato sotto casa. Io sapevo, che la mia amica era andata a Montalcino con la zia, la casa vuota mi mette tristezza, per questo l’ho fatto salire il signor Federico. L’abbiamo fatto in fretta, sul divano, lui doveva andare a casa la
moglie l’aspettava. Poi mi ha chiesto se avevo del vino. Ho aperto un Chianti rosso di Michela, e un pacchetto di chips. Abbiamo parlato, si rideva, lui è simpatico, molto simpatico. E giù uno e giù due bicchieri, abbiamo finito la bottiglia. Poi mi ha iniziato a toccare, ed io non capivo più se ero viva o morta. Lui l’ha voluto rifare, non gli è bastata una volta sola. Sua moglie credo sia una donna fredda, anche se è bellissima ed ha più di vent’anni meno di lui. Mentre avevo le mie mani, serrate sul suo sedere, abbiamo sentito la chiave nella serratura muovesi e la voce di Michela : “Ciao ho trovato un passaggio da mio cugino, ti ho chiamato al cellulare, ma non hai …”.

Poi ha alzato la testa e gli si sono bloccate le parole in gola, ci ha visto lì, tra la cucina e il salone mezzi nudi. Federico si è rivestito, praticamente davanti a lei. Le abbiamo inventato una scusa, che si era bagnato. Una cosa così, molto stupida. C’erano i suoi vestiti sparsi nel salone, lei ha capito. Era meglio se rimanevo nel mio paesino. Mi annoiavo tanto, mi assaliva una tale noia che delle giornate le passavo all’officina di mio fratello, pur di non vedere tanto verde. Lui lavora con Aurelio, facevo l’amore con lui, per passare il tempo, non perchè mi piacesse. Aveva sempre i capelli unti, e non profumava mai. A lui invece, gli era venuta una fissazione per me. Mi si era appiccicato come una gomma da masticare. Parlava di matrimonio, io l’ho lasciato e mio fratello è rimasto male. Allora non potevo nemmeno andare più all’officina. Il pomeriggio che ho conosciuto Giuliano, il tipo dell’agenzia, c’era solo Claudio a lavorare, altrimenti sarei rimasta a casa. Guarda il destino
quando ci si mette, t’incastra bene bene, che nemmeno te ne accorgi. I ragazzi erano pochi in paese, una volta arrivata a Roma, mi sono rifatta gli occhi. Qui ho conosciuto bei ragazzi, simpatici e divertenti. Però sono come mia madre, noi siamo delle calamite per i guai, mio fratello quando sono partita mi aveva avvisato: “Silvia la felicità sembra niente, si capisce solo quando si è perduta, anche il male che facciamo sembra niente, mentre lo facciamo. Non combinare guai”. Lui mi conosce come nessun’altro, sono riuscita a deluderlo anche questa volta, è stato come un secondo padre per me. Mia mamma ci ha lasciato soli la prima volta quando avevo quattro anni, poi è tornata, poi se ne è riandata. Faceva vivere mio padre su un’altalena. Lui è morto, lei gli aveva spezzato il cuore. Claudio ha iniziato a lavorare presto, e ha mantenuto anche me. È un uomo serio, pacato, ordinato. Lui non desidera che diventi come lei, però io sono la sua fotocopia, ho i suoi gusti, le sue medesime pulsioni, non riesco a essere diversamente. E visto che non sono nemmeno una brava amica, ho deciso di farla finita. Però mi sono attaccata ad un altra disgrazia e la mia impresa è fallita. Ero sul vagone e mi dicevo ora vado, si, ora mi butto e quando ho trovato il coraggio e mi sono buttata, il treno ha rallentato.

Ho solo una frattura alla caviglia e niente più. Un tizio aveva avuto la bella idea di farla finita, proprio come me, e si è andato a mettere sui binari del treno. Alcuni hanno addirittura detto che volevo andarlo a salvare ! Io annuivo, ero sconvolta. In ogni caso il mio gesto è passato in secondo piano, perché tutti si sono concetrati su quel signore. È un dipendente di una fabbrica che vogliono chiudere, e spostare in un paese dell’Est. Pare che ora lo Stato la finanzierà e non verrà dislocata altrove. Ora mi trovo nel mio letto, perchè la caviglia mi duole, vedo fuori una distesa di verde, troppo, tanto da affondarci, da farmi soffocare. Ogni tanto passa qualche capra e io posso solo sognare. Capisco mia mamma, ha fatto bene ad andare via da qui. Ora vive a Barcellona, mi manda delle foto, dei messaggini. Vive in un’appartamento vista mare, con un tipo che ha una gelateria, ma la casa è minuscola, appena potranno mi ha detto prenderà un appartamento più grande. La lascio dire, ormai la conosco, prima che cambi casa, si sarà già lasciata, chissà… Io non chiamo, no, ma se Federico mi chiamasse, io partirei, io rifarei gli occhi languidi, io sono come mia madre, io ho bisogno di mani grandi, mani senza fine. E non ho paura, di appiccicarmi come un’adesivo ad un altro sbaglio. Io sono come lei, ho la colla, nelle ossa, nelle vene, siamo, fatte per appiccicarci, costi quel costi. Agli errori, agli sbagli, alla vita. Però se il telefono non squilla, non posso nemmeno escludere di appiccicarmi alla morte. Perchè qui, in questa valle, dove sorge il nostro paese, i mie pensieri galoppano come fossero puledri.

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