cultura

Il lieto fine e l’apocalisse manzoniana

1873-2023

In occasione del centocinquantesimo della nascita all’eternità di Alessandro Manzoni, propongo una riflessione che, a suo tempo, sviluppai sul senso del felix exitus della sua “cantafavola”.

IL LIETO FINE E L’APOCALISSE MANZONIANA

“I Promessi Sposi – lo si è detto più volte – sono un’interpretazione del destino umano alla luce della speranza cristiana. Il grande romanzo è la figura degli approdi cui l’uomo, interpellato da Dio, può accedere: l’accettazione dolente o gioiosa, l’entusiasmo o la superficialità meccanica, l’ascensione sublime o la prosaica medietà. Alla fine, la salvezza o la dannazione.

Ora, la somma di questi percorsi, consapevoli e coscienti, produce la storia – quella universale e planetaria di cui la vicenda di Renzo e Lucia è simbolo – con le sue invincibili contraddizioni. Ma l’attitudine poietica di cui l’uomo dispone nel tracciare il proprio destino – intatta e completa nell’ordine della natura – trova il suo limite nell’assoluta signoria di Dio sulla storia.

In quale punto s’incontrino il libero arbitrio e la sovrana volontà divina, è questione che Manzoni non affronta; ma, quel che sia, accetta le due istanze senza discuterle. In alcuni punti – lascia al limite intendere – il dito di Dio si fa più visibile e all’uomo è concesso di scorgere, come attraverso una feritoia, il frammento del disegno di cui è parte . Dunque nei Promessi Sposi si dà una storia che è, insieme, laica concatenazione di eventi e affermazione della presenza di Dio nel tempo.

In questa prospettiva, la conclusione del romanzo è il luogo privilegiato nel quale apprezzare la comprensione manzoniana della vicenda umana tutta intera . Una cattiva interpretazione di questo punto – si badi – pregiudica alla radice l’accesso al significato più profondo dell’opera. Dunque: I promessi sposi terminano con un lieto fine e neppure sarebbe il caso di ricordarlo se una verità così semplice non fosse stata sofisticamente rigettata sulla base di argomenti inconsistenti e speciosi . D’altra parte, una negazione tanto improvvida è nata dal fastidio per una conclusione percepita come banale e consolatoria.

Ora: da quel pochissimo che Manzoni intese dire sul punto, sappiamo che pensò a un esito diverso, segnatamente alla morte di Lucia nel Lazzeretto: ma – così accennò con la sua consueta discrezione – l’amore per i suoi “burattini” lo spinse verso l’esito che conosciamo : Lucia è ritrovata viva da Renzo e il matrimonio si compie.

Ma, al di là di un tale, pudico accenno – in realtà una fin de non-recevoir – perché Manzoni scelse il lieto fine? Non certo perché pensava così di propalare l’idea che, in questo mondo, Dio punisca i colpevoli e premi i buoni. Un’idea del genere è tanto banale e, al fondo, così anticristiana, che l’autore non esita a metterla in bocca al povero Abbondio, quando il curato trae la sua piccina morale della tragedia della peste. Per dirla evocando un riferimento biblico caro a Manzoni: la dottrina della retribuzione contestata dall’innocente veemenza di Giobbe, non trova spazio nei Promessi Sposi e nell’opera manzoniana tutta. Se il destino di Lucia si fosse compiuto al Lazzeretto, ciò non avrebbe implicato una qualche forma di punizione per gli sposi ma soltanto una diversa declinazione della provvidenza di Dio .

Né il lieto fine ha una ragione puramente narrativa, volta cioè a bilanciare la dolorosa serie di sciagure, morti e rovine che l’autore ha in precedenza descritto. Lo ha sostenuto, e buon diritto, un intelligente e originale studioso di Manzoni . Ma non tutto si esaurisce qui.

Va dunque colto un significato ulteriore nell’idillio finale. Proviamo a distinguere i due livelli narratici cui ho in precedenza accennato: uno letterale, il semplice felix exitus della vicenda dei due promessi, e uno allegorico, più precisamente figurale. Del livello letterale non mette dire se non che il romanzo, piaccia o non piaccia, termina, davvero e felicemente, con un dolcissimo idillio familiare, non più oscurato da alcuna ombra. Ma guardiamo al piano figurale: l’assunto è che a partire dall’ingresso di Renzo nella Milano appestata, Manzoni realizza – con quanto autocoscienza è un problema che in questo caso non deve toccare l’interprete – una sorta di apocalisse – di rivelazione – che prefigura il significato ultimo della storia dell’uomo. Non è difficile seguirne i vari momenti: il giudizio di Dio sul mondo nella contemplazione della Milano appestata e – quasi esplicitamente – nello sguardo che Cristoforo impone a Renzo di fissare sull’umanità desolata del Lazzeretto; la grande catarsi che si compie nel perdono concesso a Rodrigo e nel segno liberante della pioggia; l’accesso a una dimensione altra, non ancora pienamente trascendente – gli intermedi “mille anni dei giusti” – ma comunque liberata dall’incombente presenza del male, nel pacifico ritorno di Renzo e Lucia al paese natio, nel matrimonio nella prima permanenza in una nuova casa . Infine, nello spazio perfetto, concluso e paradisiaco, dell’ultimo focolare, ecco la rivelazione, compiuta e decisiva, della verità nella sua pienezza: Dio è il Signore della storia, sempre e comunque; quali che siano i mezzi che liberamente sceglie, il suo obiettivo è la salvezza dell’uomo.

Il lieto fine è dunque la traduzione narrativa dell’attesa cristiana, è la ripresa del maranâ thâ, è l’attesa e insieme il compimento della risolutiva, escatologica liberazione della storia dalle contraddizioni della contingenza e della finitudine. Renzo e Lucia, riuniti ai loro figli, sono dunque figura della salvezza dei giusti, ammessi alla visione beatifica.

In un certo, senso la conclusione dei Promessi Sposi è l’ultimo canto della Divina Commedia.”

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