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“Ljuba senza scarpe”: incontro con l’autore Giuseppe Tecce

“Non mi è piaciuto del tutto il tuo libro caro Giuseppe” gli dico subito, in modo sincero e diretto, mentre mi fa accomodare al tavolino dove mi aspetta presso il caffè delle Streghe, punto ristoro all’interno di Palazzo Paolo V.

“Apprezzo la tua sincerità” mi risponde Giuseppe alzandosi per abbracciarmi per poi ordinare, per entrambi, un bicchiere di Strega “ con ghiaccio per favore”.

Ci accomodiamo.

“Comincio dai punti che non mi sono piaciuti. L’ho trovato un po’ troppo frettoloso, possibile? Mi è sembrato come se a un certo punto lo volessi chiudere, non sapevi più cosa dire. Hai accennato a tantissimi fatti, eventi, curiosità, aneddoti ma troppo frettolosamente”.

“Non sei il primo a dirmelo caro Giorgio e grazie della sincerità. Sei del mestiere quindi prendo volentieri questa tua osservazione. E’ vero, a volte sono così frettoloso, è una caratteristica della mia vita: ho fretta di finire quello che sto facendo, ho fretta di chiudere l’attività intrapresa e questo si riflette anche in quello che scrivo. E’ un mio fare personale che non ha a che vedere solo con la scrittura”

“Poi sinceramente, anche se non voglio che tu mi dia del bacchettone, ho trovato molto fuori luogo il gran finale tra Katia e Marco. Perché? Lei era anche ubriaca, potevano rinunciare e continuare la loro amicizia era proprio necessario queste pagine di solo sesso?

“Mi fa piacere il tuo punto di vista Giorgio anche perché io non sono cattolico. Spero di non aver urtato la tua sensibilità. Ma io volevo proprio metterla quella sc….  Perché poteva essere un espediente per far capire la drammaticità di quei momenti”.

Faccio una pausa, deglutisco.

“Ottimo questo Strega ghiacciato. Abbiamo perso il contatto col naturale, sicuramente tanti lettori de il centuplo non sanno distinguere un bicchiere di acqua di sorgente da uno di stagno, questo è uno dei tanti moniti contenuti del tuo libro. Come si può recuperare, nel quotidiano di gente che vive in città, il rapporto con la natura?”

“Una cosa è certa, ed è che abbiamo perso il contatto con la natura e questo vale per tutti, sia per quelli che, giustamente, vivono in città, ma anche per coloro che, invece, vivono in ambiti rurali. Oggi non basta più vivere in campagna per avere un rapporto diretto con la natura, perché tutto, o quasi tutto viene mediato dall’utilizzo di macchine, che riducono al minimo il contatto uomo natura. Eppure, io sono certo che noi esseri umani siamo parte di ciò che ci circonda, e , che , probabilmente facciamo parte di un disegno (divino?) che ci ha voluti inserire in questo contesto. So bene che la natura, che, spesso, descrivo in maniera positiva nel mio libro, può essere matrigna, e, che, a volte, è difficilmente domabile, come ultimamente ci sta dimostrando nei fatti concreti, ma il segreto è che se non riusciamo a domarla, dobbiamo assecondarla. Quella con la natura è una lotta impari, che ci vede come pedine microscopiche, all’interno di un sistema magnifico ed enorme nello stesso tempo. Un sistema che ci vuole non succubi, ma laboriosi collaboratori del creato. Questo troppe volte non accade, per presunzione umana di potersi ergere al di sopra delle forze che ci governano, mossi dalla folle convinzione di averle imbrigliate. Chi vive in città, ha soltanto una percezione aumentata di questa convinzione. Laddove l’alacre laboriosità umana ha creato scatole di cemento che chiamiamo case, e migliaia di scatole di latta, che chiamiamo automobili, e strisce di bitume a formare strade, si ha quasi la sensazione di essere riusciti a dominare le forze del nostro mondo. Ma, come detto poc’anzi, si tratta di credenze illusorie, dovute più a posture arroganti che tanti esseri umani assumono, perché basta una tempesta di vento, o una pioggia più forte delle altre, per rimettere le cose al loro posto, facendo capire chi veramente governa il mondo e con quali forze possa farlo, nel momento in cui decide di farlo. Ma la buona notizia è che anche chi vive in città può recuperare il proprio posto al sole, aprendosi un varco nella giungla di cemento e smog in cui sono costretti a vivere. L’essenziale è invisibile agli occhi, diceva il piccolo principe, e proprio come lui possiamo ricostruire un rapporto con l’essenziale, anche quando l’essenziale, ossia il naturale, è racchiuso in un pugno di terra dentro ad un vaso. Il messaggio è che la natura vince sempre, e se non avete la possibilità di abbracciare un albero, come fa Ljuba, accarezzate in casa un geranio, l’effetto potrebbe sorprendervi.”

Sorrido dicendo a me stesso che al ritorno a Roma avrei provato ad abbracciare quella pianta enorme che chiamo Davi Jones. Giuseppe, mi è piaciuto molto il passaggio sulLa felicità che allunga la vita: quale è la tua ricetta per essere felici?

“Tanti studi scientifici hanno dimostrato che da un punto di vista medico e clinico, l’essere felici, non solo allunghi la vita, ma ne aumenti anche la qualità. La qualità della vita è, di gran lunga il parametro più importante tra quelli presi in considerazione per valutare la vivibilità di un luogo o di una nazione. Come, poi, raggiungere la felicità, questo è un discorso completamente diverso. Credo che non esista una ricetta unica per la felicità, ma che ciascuno debba sperimentarsi per il raggiungimento della propria gioia esistenziale. Esistono delle gioie effimere, questo è certo, come può essere la passione per il cibo o, anche, l’amore per un uomo o per una donna. Si tratta di felicità illusorie e passeggere, che spesso producono più danni che benefici. Ci sono, poi, felicità ben più importanti come l’amore per sé stessi, o, più in generale, l’amore per l’amore, inteso come sentimento sublime e superiore alle pure passioni umane. Credo che solo chi sperimenti le passioni più profonde e distaccate da ciò che è puramente materiale, posso fare l’esperienza della vera felicità. Io ci provo ad affacciarmi in quel mondo, e non sempre ci riesco.”

 Quanto Ljuba c’è in Giuseppe e quanto Giuseppe in Ljuba?

Credo che l’equazione sia inversamente proporzionale, nel senso che alla piccola quantità di Ljuba che c’è in Giuseppe, corrisponda una grande quantità di Giuseppe in Ljuba. Sembrerà strano ma è proprio cosi. Nel senso che Giuseppe vorrebbe essere come Ljuba. Giuseppe osserva Ljuba ed il suo modo di muoversi per il mondo, ne percepisce l’intima libertà, e vorrebbe essere come lui, ma non è capace. Ci vuole una grande forza interiore per compiere gesti che all’apparenza sembrano semplici e che, invece, richiedono un grande coraggio, come quello di togliersi le scarpe e di vivere un’esistenza intera senza di esse. Siamo talmente abituati, per convenzioni sociali, a pensare a certe parti del nostro corpo come coperte, come nel caso dei piedi, che denudarli ci farebbe sentire nudi e a disagio. Sembra banale, ma il solo fatto di togliersi le scarpe ci permetterebbe di essere a contatto con gli elementi terreni più di quanto non facciamo con gli altri sensi. Avete mai sentito il pungere del catrame sotto alle piante dei piedi? Avete mai percepito quanto possa essere liscia, calda o fredda la pavimentazione di un marciapiede? Provateci se ne avete il coraggio. Dall’altra parte c’è tanto Giuseppe in Ljuba, perché, come avviene con i figli, un padre lascia sempre una traccia genetica in ciò che ha generato. Anche solo un atteggiamento, un modo di pensare o di muoversi, un modo di sedersi. Ecco in questi piccoli gesti ci si può trovare tanto Giuseppe.”

Finiamo di sorseggiare la Strega ghiacciata con l’ultimo Cin. Parliamo di altro e di altri e ci salutiamo. Grazie Giuseppe. Complimenti per l’umiltà con la quale hai accettato anche le mie critiche negative e grazie per questa amicizia.

Scheda del libro

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