Prendiamoci una pausa, andiamo al Camposanto a imparare
DOMANDE – La morte fa paura a tutti, anche a chi lo nega. Certe affermazioni frettolose che pretendono di risolvere il problema, non sono che vani espedienti per esorcizzarla. Non è vero che, come qualcuno ha scritto, non bisogna temerla perché quando c’è lei non ci sarai più tu e, finché sei vivo tu, se la dà a gambe lei: la sua ombra minacciosa ci accompagna per l’intera esistenza, magari sconvolgendoci per la scomparsa di una persona cara.
Non è vero nemmeno che il sepolcro sarà triste solo per coloro che non lasciano sulla terra «eredità di affetti»: se la morte è la fine di tutto, come potranno i gemiti di chi ama consolare chi è sceso per sempre nel buio della tomba? C’è chi – come Jean Paul Sartre – si è affaticato per giungere a concludere che l’uomo è solo una «passione inutile», un animale tra i tanti, un poco più evoluto. È strano però che, nel creato intero, questa «inutile passione» sia la sola a porsi domande inquietanti e a provare angoscia al pensiero della morte.
La rondine, stupida e bella, vola felice senza darsi pena dei problemi esistenziali. Non sa, non le interessa, che un giorno morirà . E intanto – sempre allo stesso modo – rifà con cura maniacale il suo nido di paglia e fango.
Due novembre, giorno dei morti. Ci rechiamo al cimitero. Pensosi, con serietà e rispetto. Rispetto per i morti e per chi tra i vivi ha il cuore a lutto.
Dopo aver portato un fiore o acceso un lumicino a chi ci fu più caro, vogliamo chiedergli: «Dove ti trovi adesso? Da qualche parte vivi ancora o è finito per davvero tutto?». In fondo – diciamolo – non è poi una gran cosa vivere, amare, soffrire pochi decenni per uscire per sempre dal palcoscenico della vita magari quando meno te lo aspetti.
Bella e preziosa è la vita che ci attraversa e della quale sappiamo tanto poco. Il mondo non è nato con noi. Siamo stati preceduti da miriadi di uomini che hanno da insegnarci molto. Vogliamo ascoltarli. Con umiltà . Siamo nani capaci di guardare lontano solo stando dritti sulle loro larghe spalle. Vogliamo fare tesoro della sapienza degli antichi e della scienza dei moderni per meglio indagare il mistero della vita e della morte. Niente deve andare perduto della fatica del pensare e dell’agire umano.
(ad esempio leggete questa bella riflessione su La Comunione dei Santi nella Divina Commedia ndr)
Se c’è un Dio, lassù nei cieli, necessita saperlo. Se tra i nostri simili c’è chi dice di conoscerLo, occorre affrettarsi nell’andargli incontro. Se tra i mille libri che nessuno sfoglia, ce n’è uno che non è andato mai in soffitta e che da millenni pretende di essere la «Parola di Dio», è urgente meditarlo. Se ci fu un «uomo» che parlò, amò, morì come nessuno seppe fare mai, affascinando schiere di persone, generazione dopo generazione, vogliamo che ci diventi amico.
La fede è un dono, ma anche una conquista. Si deve essere curiosi, scavare in profondità , senza arrendersi alle prime difficoltà . Se Dio non c’è, si fa pesante il vivere e il morire non trova spiegazioni. Ma se Dio c’è, perché temere di dipendere da Lui? Non dipendiamo forse dall’aria e dal sole, dalle piante, dall’acqua e dall’amore?Don Giuseppe De Luca, mezzo secolo fa, scriveva: «Dove un uomo è morto, ivi devono raccogliersi i vivi che ne sono nati».
Vogliamo raccoglierci oggi accanto ai nostri morti per ascoltare il sussurro della loro ultima, infallibile lezione: «Come ombra fugace passa la scena di questo mondo. Non abbiate paura, la morte ha già perso la battaglia: il sepolcro non è l’ultima parola.
Cristo sulla croce ha vinto. Risorgeremo!».
È il giorno dedicato ai morti. Ci aspettano, sono galantuomini, non ci inganneranno. Prendiamoci una pausa. Andiamo al camposanto per imparare ancora da chi ci volle bene. La posta in gioco è troppo alta, non si può delegare al caso la nostra sorte eterna.
Padre Maurizio Patriciello.
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