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Salviamo i negozietti dei centri urbani per salvare i borghi italiani

LA BOTTEGA – Nell’Italia dei mille borghi i cari, utilissimi negozi sotto casa hanno vita sempre più difficile. Pian piano boccheggiano e chiudono i battenti. La concorrenza con i mastodontici centri commerciali che, numerosi, vanno sorgendo alle periferie delle città, si fa sempre più spietata, ed essi soccombono, lasciando quel luogo più triste e desolato. Insieme agli animi degli abitanti anziani, spesso malati e soli. Nella storia di un paese i negozi occupano un ruolo più importante di quanto si possa immaginare.

Non sono solo luoghi di commercio, ma occasioni di incontro tra persone che si ritrovano, comunicano, si raccontano la vita. I colorati negozietti dei vicoli. Le ridenti botteghe sotto casa. Forse un giorno esperti di urbanistica e sociologi ne canteranno le lodi. Lo faranno, probabilmente, con la retorica riservata alle cose belle ma passate. Meglio farlo oggi. Quando ancora si può – se si vuole – intervenire politicamente e culturalmente per arrestarne la morte lenta. Certo, il mondo cambia, ma deve assolutamente cambiare in meglio. Tenendo conto di tutti, soprattutto dei più deboli: vecchi, persone diversamente abili, poveri. I giovani corrono volentieri ai centri commerciali. Sono comodi. Vi trovano di tutto a prezzi convenienti. Oltre alla pizzeria, il cinema e le giostrine per i bambini. Qualcuno vorrebbe includervi addirittura la chiesetta per la Messa.

Il pacchetto al completo. Eppure, in questa visione della città e dei suoi spazi, qualcosa non torna. Questi centri sono artificiali, terribilmente anonimi. Tutti uguali, senza volto. Spesse volte non possono essere raggiunti a piedi. E contribuiscono a spopolare la piccola città.

“ Chiuso per cessata attività”. La scritta è messa in evidenza sull’ennesima serranda abbassata di un’ antica bottega del mio paese. La gente guarda sconsolata. Fare la spesa per chi cammina appoggiandosi al bastone diventa sempre più difficile. Dovranno rassegnarsi, prima del tempo, a fare ricorso alla badante. Non vogliamo riportare indietro l’orologio della storia. Non stiamo guardando con nostalgia al passato, ma al futuro.

Nella foresta della vita, per vivere sereni, occorre che gli animali di grandi dimensioni lascino spazio ai moscerini e alle lucertole; agli uccellini e alle farfalle. Fuor di metafora: la grande industria e la politica non possono ignorare la bellezza, l’utilità e l’originalità dell’artigianato locale. I grandi centri commerciali non possono passare come un bulldozer sui piccoli negozi decretandone la fine. I luoghi in cui viviamo furono pensati con intelligenza, avendo a cuore le esigenze delle varie stagioni della vita di chi vi doveva nascere, vivere, morire. I nostri antenati avevano una visione d’insieme che dava al cittadino una sua collocazione, una sua precisa identità. Anche se la vita ti porterà lontano, per non smarrirti, il tuo paese deve rimanere il luogo dove ti è sempre caro ritornare. L’ombelico da cui misuri le distanze. Il santuario che custodisce la tua casa, i tuoi fratelli. E i compagni dei tuoi infantili giochi; i sogni e ricordi belli. Dove una campana antica canta felice un giorno e il giorno dopo geme. Dove i tuoi morti dormono il sonno della pace.

La politica e gli italiani debbono impegnarsi seriamente per impedire che i mille borghi che fanno bella e interessante l’Italia, si trasformino in tristi e anonimi dormitori. Se i negozietti che contribuiscono a tenere in vita i nostri centri urbani chiudono i battenti, pian piano anche il paese muore, trascinando nella tomba tradizioni, radici, storia. E ciò, per il bene di tutti, non deve accadere. In fondo siamo tutti figli del paese che ci ha visto crescere e diventare uomini.

Padre Maurizio Patriciello

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