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Cose da dire a un esercito di specializzandi

Ultimamente, quasi per caso ma il caso non esiste piuttosto esistono i disegni, mi è capitato di sentir parlare o di parlare degli specializzandi che lavorano e si formano in ospedale. Un amico di paese mi racconta che del suo recente ricovero ricorda quasi esclusivamente il folto gruppo di specializzandi che ogni mattina seguiva il primario nel giro visite per prendere appunti e fare domande più che dare risposte. Un mio collega universitario mi confida la sua stanchezza per essere da anni il tutor degli specializzandi e dover per loro organizzare sempre percorsi didattici impegnativi. Ad una cena, una di loro mi spiega di aver rifiutato un contratto a tempo indeterminato che ha vinto con un concorso perché teme che venir assunta come strutturata possa in un certo senso bloccare la sua curva di apprendimento. Ed allora, una sera mi sono fermata e dal balconcino della mia mansarda mi è venuto spontaneo pensare a loro…agli specializzandi delle varie discipline ma soprattutto a quelli che hanno scelto anestesia e rianimazione, la mia prima disciplina…

Partiamo con il loro identikit che magari risulta utile per i lettori meno addetti al percorso universitario di medicina: gli specializzandi sono laureati in medicina che dopo aver conseguito la laurea e l’abilitazione all’ordine con il superamento dell’esame di stato, hanno anche superato il test di ingresso per la specialità e quindi all’età di 24-25 anni iniziano a frequentare assiduamente come fosse un impiego reale il reparto ove vorrebbero lavorare “da grandi”. La scuola di specialità dura 5 o 6 anni a seconda della disciplina, assicura una borsa di studio che da qualche anno è in linea con gli standard europei, prevede il lavoro in reparto tutti i giorni, deve includere anche lezioni teoriche regolari, viene portata avanti attraverso il superamento di un esame annuale più la tesi conclusiva. Il test di ingresso oggi è nazionale ossia significa che tutti gli aspiranti vi partecipano nella stessa data e da quel test viene stilata una graduatoria che permette ai più bravi di scegliere la specialità e la sede. E così ci son giovani che lavorano ed imparano vicino a casa la loro specialità ideale ma ci son anche giovani lontani da casa che imparano la loro terza scelta di specialità.

Niguarda, il mio ospedale, è da diversi anni polo universitario per molte discipline. Per anestesia e rianimazione, veniamo richiesti da tutta Italia perché la fama di grande ospedale che insegna e forma realmente verso le insidie di questo lavoro è più che reale. Nella pratica, ogni giorno, ognuno di noi strutturati è affiancato da uno specializzando che cerca di imparare il mestiere.

Impossibile per chi è ancora relativamente giovane come me, non fare confronti tra il mio modo di essere stata specializzanda ed il loro attuale. In poche parole è cambiato tutto: loro sono tantissimi, io ero sola. Loro sono digitali, io avevo carta e penna. Loro guadagnano il giusto, io percepivo una miseria (che da alcune class action è stata definita una miseria illegale). Loro hanno a disposizione mille strumenti tra cui webinar e incontri con gli esperti, io rubavo i trucchi a tutti gli anziani. Loro spesso hanno un piano B come andare all’estero o fare ricerca, io vivevo per i malati e per i letti del reparto perché non esisteva alcuna exit strategy.

Eppure, se potessi parlare a loro, a tutti loro direi alcune cose con il cuore in mano e per una volta vorrei vederli attenti senza il tablet in mano e pure senza l’ansia della performance da esame:

  1. Cercate in fondo a voi la vera motivazione per cui avete scelto medicina…non può essere la ricchezza economica visto che ormai gli stipendi pubblici faticano a tenere il passo del caro vita, non può essere lo status perché ormai la relazione con il cittadino è tutta da ricostruire, non può essere l’agio perché i numeri parlano di turni impegnativi e personale sotto stimato rispetto ai bisogni…guardate dunque bene nel vostro cuore e chiedetevi se davvero questo è il lavoro che non potete non fare, se ogni mattino vi alzate con gioia, se soprattutto siete innamorati dell’umano …perché è questo che farete ogni giorno della vostra vita lavorativa: curerete l’umano in un misto di privilegio e fatica che si intrecceranno talmente tanto e talmente spesso da impedirvi di capire a sera se siate più stanchi o più soddisfatti.
  2. Rallentate, ossia non abbiate fretta di cercare le risposte nella letteratura scientifica così disponibile ormai. Fermatevi accanto al letto del paziente e guardatelo. Cercate sempre di conoscerlo e di sapere cosa è importante per lui o per la sua famiglia. Non parlate mai del malato con il numero del letto oppure con la patologia che ha. Abbiate il coraggio di parlare dei malati con i loro cognomi perché così saranno sempre delle persone. Quindi non dite “il letto 5 ha la febbre”. Non dite “la sarcoidosi va male”. Ma abbiate il coraggio di dire “ Claudio, quel padre di famiglia che nella vita fa il panettiere e che noi ieri abbiamo ricoverato al letto 5 per via della sarcoidosi, ha la febbre e sta peggiorando rapidamente”.
  3. Fate insieme a noi, sempre un bagno di umiltà, perché il nostro lavoro è terribilmente difficile e non è mai appreso del tutto. Non crediate che l’assunzione nei tempi del Covid vi abbia reso capaci di affrontare ogni cosa. In quei mesi, se vi ricordate, voi siete stati assunti ma noi anziani vi abbiamo protetto ed abbiamo impedito che voi vi scontraste da troppo giovani con delle morti troppo dure. Ora, non abbiate a pensare che avete capito tutto. C’è ancora tanto da capire. Tenete con voi un briciolo di paura di sbagliare, di non sapere. Che non sia una paura freeze ma che sia una spinta ed un allert a fare sempre meglio. Non sentitevi arrivati. Non sentitevi superiori. Nessuno arriva e soprattutto nessuno arriva da solo a nessun successo.
  4. Ricordate sempre che curare è un privilegio. Ve ne accorgerete quando raccoglierete le confidenze prima di una anestesia generale per un grosso intervento. Oppure quando assisterete all’ultimo caro saluto sul tramonto della vita. Sentirete che essere presenti in momenti tanto stretti da un punto di vista esistenziale è davvero un onore. Trattatelo con cura questo onore. Bisogna esserne degni. I malati sono gli eroi. Sempre. I malati hanno solo bisogno di testimoni attenti. Raccogliete nel vostro cuore immagini e parole. Avrete così un album di incontri meravigliosi e crescerete come professionisti ma soprattutto come persone.
  5. Per ultimo, ricordate sempre che la vita, tra un turno e l’altro, tra una tragedia e l’altra, va sempre celebrata. Non aspettate l’occasione gusta per dire “grazie, ti amo”. Non aspettate un compleanno per uscire a mangiare una pizza. Non aspettate un anniversario per fare una scappata al mare. Siate ricchi di amore e gioia per poter essere luci nelle corsie.

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