cultura

Lascia solo i:”Ama” – un racconto di Benedetta Bindi

“Almeno una volta al giorno fai qualcosa che illumini la tua vita” Bronnie Ware

Un ragazzo dall’aspetto solare sta provando il microfono in piedi sul palco, ragazzi e ragazze si stanno sedendo, ci sono anche degli adulti e alcuni anziani. Il suo corpo eretto freme, lo si nota da come si muove. Le parole spingono sui denti, la bocca si apre:

“Oggi le nostre vite sono dominate dalla velocità. Per anni mi sono vestito, colazione di fretta, autobus, scuola, pranzo, studio, calcio, lezione di chitarra. Uscite con gli amici, amiche, discoteca, feste. La domenica? Partita, studio, e alla messa quando riuscivo. 

Scusate non mi sono presentato, mi chiamo Alberto, ho diciannove anni, e sono qui in questa sala per parlare della mia esperienza, qualcosa di piccolo rispetto a tutto quello che accade nel mondo, qualcosa che mi ha cambiato però,  per questo  ho sentito l’esigenza di raccontarvelo.

 Ho sempre  corso da che ne ho ricordo, fino a quando un sabato di fine maggio, felice e spensierato perché il liceo era quasi terminato, ed io l’avevo sfangata ancora una volta senza prendere debiti, mi sono seduto al baretto vicino alla scuola. Attendevo un mio amico, Maurizio, dopo alcuni minuti mi ha scritto che era in ritardo. Cosa che accadeva spesso in quel periodo… si era fidanzato”. 

Brusio in sala, qualcuno ride.

 “Mi irritava aspettare anche mezz’ore piene, ma quel giorno c’era il sole, ero rilassato, così invece di arrabbiarmi ho preso una bibita, e mi sono messo a  guardare il telefono. Poco dopo mi sento chiamare, alzo gli occhi, la voce non era quella di Maurizio, infatti vedo Cristiano. Un amico che non incontravo  da tempo, più grande di me di due anni. Portiere formidabile, veniva ogni tanto alle partite di calcetto dell’oratorio, portato da altri amici, con lui in squadra si vinceva sempre. Ho notato che era ancora più biondo, più muscoloso, con due spalle larghe e dritte che ci si poteva appoggiare il mondo. Ha sempre fatto mille cose, oltre a giocare ogni tanto con noi: rugby, sub, surf, bicicletta.

Ci sediamo al tavolino e parliamo, ascolto più che altro, ogni cosa che dice mi interessa. Mi racconta che fa la scuola di osteopata e la sera lavora in un locale. Ricordo che lo guardavo e pensavo al successo che  riscuoteva  con le ragazze, mi è balenata l’idea di invitarlo a casa mia al mare. Infatti ad un certo punto gli chiedo: ”Quest’estate che fai?”

Lui si tira il ciuffo biondo indietro con le mani, mi guarda serio e dice :”Vado ad Haiti”. “Fico!” gli dico, “conoscendoti farai immersioni?” Lui mi sorride e poi risponde: “volontariato”. M’informo, gli faccio il terzo grado, poi gli dico: “posso venire anch’io?”

Il mio istinto mi ha detto quello che dovevo fare, prima che la mente capisse. L’Elba con i miei amici, i bagni al mare, i locali la sera, cancellati, volevo andare con lui. Cristiano mi ha risposto: “certo ti dico cosa devi fare, ma ti avviso è ben lontano da una vacanza,  io rispondo: “beh ho capito”.

Arriva Maurizio, ed io sono felice che abbia la fidanzata, che sia felice, che abbia fatto tardi, perché forse Cristiano non si sarebbe seduto con me, o anche se fosse accaduto, con il mio amico accanto che doveva venire all’Elba a casa mia, avrei taciuto invece di buttarmi in quest’avventura. 

Un mese e mezzo dopo il nostro incontro al bar, ero  a Pètion-Ville, una cittadina di Haiti che ospita le principali missioni internazionali. E’ un paese con dieci milioni e mezzo di abitanti, più del 50 per cento di bambini soffre di malnutrizione. Un bambino su due non va a scuola, il settanta per cento degli adulti non ha lavoro. 

Prima di allora non avevo mai  preso tempo per me, momenti nei quali fermarmi per  domandarmi: ”Alberto come stai vivendo la tua vita?’”

Studiavo, uscivo con gli amici, una ragazza ogni tanto, le partite di calcio. Ero  insaziabile, volevo sempre di più: delle scarpe nuove, l’ultimo modello di telefono, al motorino. Ad Haiti ho scoperto l’importanza di oggetti comuni come il frigorifero, la lavatrice, il televisore. Ho visto bimbi vivere in baracche senza nulla. Io che mi arrabbiavo se andavo da qualche parte e il telefono non prendeva. Ma che mostro ero? Me lo domandavo delle sere guardando dei tramonti fantastici, dopo una giornata passata a rendermi utile, e dove mi sono sentito vivo come non mai. 

Aiutando gli altri, di riflesso sono migliorato io.

 Sui social un  tempo facevo l’eroe. Sorridevo sempre, anche quando sono stato lasciato da Caterina, mettevo i  video dei miei calci di rigore, delle mie acrobazie in campo, delle mie serate in discoteca. Io sempre preso da me stesso, dalla nuova giacca, dalla verifica, dalla partita, dalla mia prossima vacanza. Non mi ascoltavo. 

Dopo l’esperienza di Haiti ho capito che non devo dare nulla per scontato, nulla mai, nemmeno la pietanza  che mia madre mette in tavola. 

Ho un’immagine che non mi si cancella più dalla mente: una ragazza giovane, bella, con due occhi grandi e neri da caderci dentro e dalle  forme perfette. Mi ha preso la mano poi mi ha chiesto se amavo i bambini. Io ho  pensato: “questa vuole eh..vuole portarmi a letto, magari incastrarmi”. Ero anche eccitato, non posso negarlo, mi pareva dipinta, sentivo il calore della sua pelle. Attendeva una risposta, gli altri volontari erano a giocare con dei ragazzini. Lei  aveva labbra morbide, mi ci sarei incollato. Le ho risposto: ”sì, adoro i bambini” , mi ha risposto: aspetta”. L’ho vista allontanarsi, camminava con grazia. E’ tornata subito  con una bimba di due anni, la teneva  per mano, aveva  gli occhi belli e grandi come lei, le stesse ossa fini. Mi si avvicina al punto che sento il suo respiro, e mi dice all’orecchio: “portala in Italia con te, ti prego”. Io le avrei portate entrambe anche sulla luna se avessi potuto, invece le ho dato i pochi spicci che avevo in tasca, e le ho risposto: ”non posso”. Mi sono sentito un verme per aver pensato male di lei, e ogni sera quando vado a letto ricordo ancora il suo viso, di una bellezza sconcertante pari al suo dolore. Ho capito in questo viaggio il valore dell’equilibrio. 

Opposti che si compensano, luce e ombre, vita e morte, gioia e dolore, troppo e niente. 

Ad Haiti mi  si è accesa una fiamma che ha fatto bruciare tutte le mie certezze,  mettendomi a duro confronto con la povertà. Mi sono domandato spesso cosa porti una mamma a donare la propria figlia ad uno sconosciuto, e la risposta è stata un amore incondizionato. Quello che spero di poter dare nel mio cammino. Adesso provo gratitudine sempre, per ogni piccola cosa, mentre lascio cadere quello che non va, come fosse un gioco che facevo da bambino con le margherite. Tolgo i petali e lascio solo i : ama.

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