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L’ultima partita di Andrea: un pallone, una bara, un grido d’amore

L’ULTIMA PARTITA – Che ci fa una bara bianca in un campo di calcio strapieno di giovani? E perché qualcuno le “passa” il pallone per farlo poi rimbalzare in porta, mentre, tantissimi amici, piangendo e gridando, si riversano su di essa e l’abbracciano come una mamma stringe al petto il suo bambino? Siamo a Monreale, la ridente cittadina che dall’alto domina Palermo, testimone muta dello scempio atroce di tre vite umane, perpetrato nei giorni scorsi. La bara è quella di Andrea Miceli, uno delle vittime cadute sotto i colpi di pistola durante una lite tra ragazzi del luogo e altri provenienti dal capoluogo siciliano. Giorni di sconcerto, di pianti, di lutto, di rabbia. Dopo la celebrazione del funerale nell’antico Duomo, la bara viene portata nel campo di calcio per un ultimo saluto. E qui, come accennato, viene celebrato un altro, strano rito, criticato da tanti e apprezzato da altri.

Ho visto il video che ritrae la scena una dozzina di volte, imponendomi di liberarmi da ogni preconcetto per tentare di capire e non commettere l’errore di dare giudizi affrettati. Sono giunto alla conclusione che, checché se ne dica, la morte, soprattutto quando arriva all’improvviso, in giovane età e con modalità che lasciano l’amaro in bocca, è – e rimane – una profonda sciabolata nell’anima dalla quale non è facile guarire. I riti, le liturgie, le onoranze funebri; i discorsi, i panegirici, le manifestazioni, i cortei, le corone, gli applausi, negli anni, sono stati pensati con l’inconscio desiderio di ammansire un dolore insopportabile e quella sorte di non senso che accompagna l’ultimo viaggio di una persona cara. E permettere ai sopravvissuti una via di scampo per continuare a farsi forza per non morire a loro volta.

Al mio paese, in provincia di Napoli, fino a pochi anni fa, i funerali di neonati, bambini, adolescenti, venivano celebrati come se fossero feste. Per le strade, le donne lanciavano fiori bianchi, erbe aromatiche e confetti verso la bara portata a spalle, mentre la banda musicale accompagnava il corteo per tutta la durata del percorso e le campane della chiesa suonavano a distesa, come nel giorno di Pasqua. I tempi cambiano e con essi cambiano gli usi, i costumi, il linguaggio.

I giovani di Monreale, dunque, hanno ritenuto di “fare segnare l’ultimo gol” al loro amico messo a tacere per sempre da un quasi coetaneo. Può piacere o non piacere, modi di fare come questo, sono sempre più frequenti. Non poche volte ci si imbatte in un corteo funebre dove decine di motociclette rombanti accompagnano la persona defunta al cimitero. Proviamo – non è semplice – a scendere negli abissi del cuore umano con umiltà per tentare di capire e porci, poi, qualche domanda. La prima. Qual è la motivazione profonda di questa strana liturgia laica e moderna? L’amore. I giovani di Monreale stanno dicendo al mondo che sono addolorati e arrabbiati perché hanno perso un amico caro. Hanno bisogno di farsi forza, di stare insieme, di abbracciarsi, di dare pubblica manifestazione al dolore che, in una tiepida sera di primavera, ha sconvolto le loro vite. E lo fanno a modo loro.

A noi, la capacità di intercettare e comprendere il loro linguaggio se vogliamo dialogare. L’amore, qualsiasi sia la modalità con cui viene espresso, non perde mai il suo altissimo valore.

Questi ragazzi si vogliono bene e volevano bene ad Andrea. Stanno soffrendo e – vogliamo ricordarlo – soffre solo chi ama. Poi. Stanno dicendo “no” a ogni tipo di violenza. Stanno giocando. Vogliono continuare a giocare. Ci stanno indicando il gioco come antidoto alla violenza, alle pistole, alle liti, al carcere, all’odio, alla vendetta, alla morte. Ancora. La liturgia esequiale, la bella omelia del vescovo di Monreale, la Pasqua di recente celebrata, ci scuotono – o dovrebbero scuoterci – dal torpore di una vita banalmente vissuta e ci aiutano ad alzare lo sguardo verso il cielo. Gesù è morto e risorto, anche noi, anche Salvatore, Andrea, Massimo risorgeranno. Non sono morti ma dormono. Perché cercate il vivente tra i morti?

Ci sono modi e modi per esprimere le fede nella resurrezione. Il primo e più importante è la Messa celebrata e la preghiera. È vero, eppure quella strana partita di pallone, che altro sta a dire se non: «Andrea, tu non sei morto, sei vivo. Non sappiamo dove ma sappiamo che ci sei. Non sappiamo quando ma siamo certi che un giorno ci rivedremo. Prima di separarci, accetta di giocare con noi l’ultima partita. Addio, Andrea».

Condoglianze sincere, fratelli e amici tanto cari e tanto giovani. Nel nome di Andrea, di Salvatore, di Massimo, nel ricordo di quella notte buia e senza senso, continuiamo a impegnarci insieme per spegnere la violenza in ogni sua manifestazione, a volerci bene e rendere più bello il mondo, incominciando dalla vostra splendida città di Monreale.

Maurizio Patriciello

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