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Ermanno Olmi, La leggenda del Santo Bevitore e Santa Teresina di Lisieux

Oggi è il 1° ottobre, ricorrenza di Santa Teresina di Lisieux del Bambino Gesù, cui sono fortemente devoto. Il compianto Ermanno Olmi, vinse il Leone d’Oro con un suo capolavoro di grande successo internazionale, “La leggenda del santo bevitore” (1988) con un grandissimo Rutger Hauer, anch’egli, purtroppo, compianto. Un film dedicato proprio a santa Teresina.

Olmi, uno dei pochi registi a vincere sia la Palma d’Oro, nel 1978 con “L’albero degli zoccoli”, sia il citato Leone d’Oro, nel 1988, con “La leggenda del santo bevitore”.

In questa occasione, intendo soffermarmi sul film che ci riporta alla santa ricordata oggi. Si tratta della storia di un barbone bevitore, al quale un distinto signore offre fiducia e gli consegna duecento franchi da portare nella Chiesa di Santa Maria di Batignolles per assolvere ad un voto a Santa Teresa di Lisieux. Dopo molte vicissitudini, il bevitore riuscirà a mantenere la promessa.

Leone d’Oro, come detto, a Venezia nel 1988; ma anche Nastro d’Argento per la Migliore Regìa, Quattro David di Donatello 1989 (Miglior Film, Migliore Regìa, Miglior Montaggio, Miglior Fotografia), etc.. Riconoscimenti e critica positiva unanime in tutto il mondo.

Il film è tratto dall’omonimo racconto (abbastanza breve, poche decine di pagine) di Joseph Roth, ebreo galiziano ed ex ufficiale dell’esercito austro-ungarico nella prima guerra mondiale, poi giornalista e romanziere e infine, dal 1933, esule dalla Germania nazista – dove si era stabilito – in Francia, dove muore solo; la mattina scrittore, la sera quasi sempre ubriaco e pieno di solitudine e di disperazione.

«La leggenda del santo bevitore», pubblicato postuma nel 1939, è considerato il testamento spirituale di Joseph Roth.

Il protagonista, Andreas, senza più casa, né affetti, né certezze, né speranze, è un antieroe estremamente umano nelle sue debolezze, così come nel suo inaspettato, ammirevole senso del dovere. Il suo candore rende pulite anche le situazioni che pulite certamente non sono: i fuggevoli incontri con donne di malaffare, il vizio del bere, etc..

In un articolo monografico su Ermanno Olmi, scritto e pubblicato alcuni anni fa, parlavo de “La leggenda del santo bevitore” come di un libro e di un film che rappresentano una metafora dell’uomo del Novecento (così come di oggi, sul finire del primo decennio del Terzo Millennio) che si perde ma che alla fine si ritrova; ma si ritrova solo nella luce di Dio. In questo caso si tratta di uno sbandato (appunto, un uomo che si è perso nella vita), che perde più volte la strada per arrivare alla salvezza, a Dio, attraverso santa Therese di Lisieux; ma alla fine si ritrova, e ritrova lei, la piccola santa, e con lei ritrova la luce di Dio. Il protagonista della storia si perde fino alla fine dei suoi miseri giorni; si perde nella solitudine disperata, nell’alcool, in donne facili, in ogni tipo di tentazione. Ma alla fine, è quella che mi piace definire la tentazione della fede ad avere la meglio; ed egli si redime.

Joseph Roth, l’autore del racconto, si rispecchia nel suo personaggio, il protagonista de “La leggenda del santo bevitore”, Andreas Kartak, un ex-minatore dell’Europa centrale, che vive a Parigi da clochard, da barbone, sotto i ponti della Senna, ricoperto di giornali per proteggersi dal freddo della notte.

Nel racconto, un distinto signore offre ad Andreas duecento franchi (quando questi valevano qualcosa!): Andreas ha fame ed è tentato, ma è molto sorpreso. L’anziano signore (facile identificare un angelo in questo anziano) afferma di avere un grosso debito con Santa Teresa di Lisieux, ed insiste affinché il clochard accetti i soldi al fine di aiutarlo a risolvere il debito con la santa. Difatti, chiede all’uomo di accettare la somma per poi restituirla nella Chiesa di Santa Maria di Batignolles, dove c’è una statuina di santa Teresina.

Andreas è un uomo onesto: prima non vorrebbe quei soldi; poi, si fa un autentico scrupolo di tenere fede all’impegno. Ma una serie di circostanze e di eventi (per meglio dire, di tentazioni) gli fa rinviare più volte l’appuntamento con santa Teresina e, soprattutto, con la propria redenzione. Una santa Teresina che gli appare più volte, sotto i ponti della Senna, dove egli dorme abitualmente, ma anche la mattina dell’ultima domenica, nel bar di fronte alla Chiesa di Batignolles.

Sintetizzo le mie valutazioni, qui a seguire. Sin dall’inizio del film c’è tutto l’Ermanno Olmi che conosciamo ed apprezziamo, con il suo senso del soprannaturale, insieme con il realismo della vita quotidiana. Il maturo signore in abito scuro ce ne offre la chiave di lettura: con i duecento franchi offertigli, Andreas si trova in debito.  Tutto  ruota  su  un  uomo,  un ultimo,  sulla figura-faro di una santa (una luce nel buio), e sui soldi. In questo film perfino il denaro sembra riscattarsi, visto come veicolo di bene e non come strumento di corruzione e di vizio. Il film, ricchissimo di contenuti e di valori, è complesso eppure semplice al tempo stesso, com’è tipico di Olmi.

Sempre più spesso chi i films li scrive e li produce ha ben presente l’importanza del mezzo universale della cinematografia, e – come detto – se n’è già servito per svuotare di valori etici l’occidente, per imporre il primato su tutto del denaro, del potere, dell’individualismo. In mezzo a tanti manipolatori di coscienze, fa bene all’anima il cinema di Ermanno Olmi.

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