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I social e i problemi dei nostri figli in preadolescenza – di Alberto Pellai

I SOCIAL SONO CAUSA DI PROBLEMI PER I NOSTRI FIGLI IN PREADOLESCENZA. LO AFFERMA LA RICERCA SCIENTIFICA, MA LA MAGGIORANZA SEMBRA NON VOLERLO SAPERE.

La ricerca scientifica che ha messo in relazione la quantità di utilizzo dei social media e il benessere degli adolescenti da sempre ha rilevato associazioni negative. Nella maggioranza delle ricerche esistenti, all’aumentare dell’utilizzo dei social – soprattutto quando l’utilizzo diventa elevato – aumenta la probabilità di riscontrare problemi psicologici e scolastici.

“Una ricerca di Jonathan Haidt e Jean Twenge basata su tutti gli studi oggi disponibili che correlano la quantità d’uso dei social o di specifici social e le misure di benessere/soddisfazione di vita, conclude che oggi è giustificato affermare che l’ impatto negativo dei social sui minori è provato. Tale impatto è massimo per le ragazze, in particolare nella fascia 11-13 anni, e per chi presenta già delle fragilità di ordine psicologico e/o sociale; inoltre, le relazioni offline, un buon contesto familiare, ambientale e scolastico costituiscono un fattore di protezione, mentre lo svantaggio socio-psico-economico è un fattore di rischio per sviluppare effetti collaterali. Un altro risultato della rassegna è che l’influenza dei social sembra avere caratteristiche di network: quando tutti li frequentano, l’impatto di alcune rappresentazioni e dinamiche dannose si moltiplica e permea l’ambiente, tanto che non è sufficiente per un singolo individuo chiamarsene fuori per non soffrire dell’influenza negativa”.

Il professor Marco Gui dell’Università di Milano Bicocca, nell’articolo in cui condivide le informazioni relative a questo studio pubblicato su Login del Corriere della sera, scrive che da tempo chi prova ad allertare sul rischio associato all’uso precoce dei social (associato al possesso precoce di strumenti digitali ad uso personale, come più volte ribadito da molti altri ricercatori) riceve “l’accusa di fomentare il «panico morale»”. Forse è tempo che questa accusa venga “discussa criticamente, perché non diventi una sorta di ostacolo ideologico all’approfondimento. Negli ultimi decenni sono state accettate, e avallate anche in ambienti scolastici, pratiche giovanili di cui ancora ignoravamo le conseguenze. Ciò rappresenta una problematicità tanto più grande quanto più esse si sviluppano in ambienti privati, sotto la pressione di chiari interessi economici e con poca regolamentazione (vedi le piattaforme di social networking)”. Nel suo articolo, associato a questo post, giustamente il Prof. M.Gui afferma “nei prossimi anni ci troveremo di fronte a ulteriori problemi di natura simile: che dire ad esempio dell’uso da parte di bambini e adolescenti dell’intelligenza artificiale o della realtà immersiva? Non possiamo certo aspettare una ventina d’anni e disporre di evidenze scientifiche del tutto chiare per prendere delle decisioni a protezione di queste categorie. Occorre quindi un metodo di decisione collettiva, basato sulle evidenze disponibili ma anche sulla percezione degli educatori, e – aggiungerei – una minore fretta di abbracciare e magnificare subito l’innovazione tecnologica, come fosse un bene in sé”.

Credo che è di questo tipo di analisi e riflessioni che abbiamo bisogno oggi noi genitori ed educatori. Non sono certo popolari e vanno controcorrente rispetto alla direzione in cui la pressione del mercato e del marketing vorrebbe portarci. Ma non si può ignorare che la quantità di ricerche scientifiche oggi disponibile, ci allerta a considerare che l’entusiasmo tecnologico che ci ha travolto negli ultimi decenni, oggi necessita di un ripensamento forte, in quanto l’online e le tecnologie ad uso personale provocano nella vita dei nostri figli effetti indesiderati e collaterali che rischiano di produrre danni ad un’intera generazione. vi invito a leggere per intero l’articolo del Prof. Marco Gui e a farlo circolare all’interno delle vostre comunità di genitori ed educatori.

Alberto Pellai

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