cultura

Gli oggetti di mia madre – un racconto di Benedetta Bindi

“La cosa più importante che un padre può fare per i propri figli è amare la loro madre.”
HENRY WARD BEECHER

Ernesto è un uomo magro, alto. Indossa una giacca blu e una camicia a righe. Ha un bel volto ovale, una distanza tra i due occhi azzurri eccessiva, lo rende affascinante.  I capelli sono mossi, un ciuffo ribelle si dipana sulla fronte, mentre dietro la nuca sono tagliati corti. Attende una cattedra all’università, nel frattempo scrive articoli su varie riviste e collabora con un quotidiano. Ha appena parcheggiato nel giardino della Villa dove abitano i suoi genitori, anzi ormai solo sua madre. Suo padre è venuto a mancare da soli tre mesi.

Apre la grande porta blindata, quando una donna di ottant’anni, alta, capelli bianchissimi, dai grandi occhi gli appare sorridendogli. È ancora bella, ma il suo sguardo è triste, lui la bacia e le domanda come sta. Lei gli risponde con un’altra domanda, vuole sapere se ha fame. L’uomo le dice: “Mamma divorerei un bisonte, oggi ho avuto vari appuntamenti, e ho mangiato solamente un tramezzino”. Lei gli sorride e va in cucina, abituata da sempre alla sua voracità. Non solo di cibo, ma di tutto ciò che lo circonda, ha sempre fatto tante cose, vari sport, studiato due strumenti, viaggiato tanto. È differente da lei, casalinga, abitudinaria, pigra. Lui è sempre stato un cavallo selvaggio. Vive da solo, ora ha una relazione con Ada, una pediatra, sua madre spera che con lei troverà pace. Desidera un  nipotino. La donna ha già apparecchiato la tavola, porta le pietanze mentre lui si siede. Lo guarda e gli dice: “Mi fa piacere vederti in camicia e giacca, anche se sembra che tu ci abbia dormito”.

Lui storce la bocca e addenta voracemente il roast beef. Sono nella grande sala da pranzo, passano dei minuti in silenzio. Imbarazza entrambi il posto vuoto a capotavola che era di Paolo.  Finto di mangiare, interrompono ognuno i propri pensieri e iniziano a discutere animatamente.  La donna sta svuotando ogni stanza, ha deciso di ritirarsi in una casa di cura. Suo figlio sembra nervoso, quasi arrabbiato con lei che continua a proporgli ogni tipo di cosa che li circonda.

Ernesto risponde: “Non voglio nulla mamma, nulla di tutto quello che avevi in casa! Non capisco perché mi hai preparato sei cartoni pieni di cose. Non sono una discarica! Gli oggetti quasi ti commuovono quando ne parli,  ti rendi conto? Mica sono vivi. Si vive in mezzo a loro, per l’unico scopo: adoprarli! Niente di più. Tu ne hai comprati troppi, ora capisci che non servivano a nulla!!!

La donna sente gli occhi inumidirsi, suo figlio crescendo è sempre stato duro con lei, l’ha sempre fatta sentire sbagliata, lei gli risponde:

Sono tutti oggetti di qualità. Perché vuoi che butti tutto. Alcune cose le ho distribuite ai parenti, alla cameriera, altre vendute. Ma alcune non si possono regalare, voglio che le prenda tu”.  Intorno a loro regna il caos totale, una quantità di cartoni chiusi, altri ancora aperti. Da alcuni spuntano: tovaglie, servizi di piatti, argenteria, lampade, tappeti. La donna ha messo altre cose sul lungo tavolo del salone, quello dove si facevano i cenoni di Natale. Ernesto si avvicina e prende due modellini di barche, quelle che suo padre teneva nel suo studio, e un mappamondo. Non vorrebbe altro, ma sua madre insiste.

Entra in casa Daria, la cameriera che lui conosce da una vita, si abbracciano. Non si vedevano dal giorno del funerale del padre, lei sorride e gli sussurra mentre la madre di lui è in cucina: “La signora Francesca poteva rimanere a vivere in questa casa, sarei venuta più spesso io a farle compagnia. C’era anche Raffaella mia figlia, ora non lavora, poteva accompagnarla con la macchina dove voleva.  Adesso dice che odia questa casa”.

Ernesto guarda la donna sbigottito e le dice: “Perché odia questa casa? Ha fatto di tutto per comprarla, è sempre stata la sua fissazione, ci hanno speso un patrimonio!”, la signora si soffia il naso e poi gli risponde: “Dice che da quando si è ammalato tuo padre ha perso tutto il suo fascino. Sa che tu preferisci vivere in città, e lei ha deciso di lasciarla”.

Entra la vecchia signora, e con entusiasmo dice: “Guarda Ernesto che quadri, non dirmi che non ti piacciano questi? Li abbiamo comprati da un antiquario a via dei Coronari, prendili!” Lui arriccia il naso e fa no con la testa, la donna risponde: “Fà come vuoi, t’impunti come quando eri un bambino, sai che ti dico io sono morta, ho messo a posto tante di quelle cose, che mi gira la testa. Questo non vuol dire che non soffro. Da quando lui si è ammalato non piango, non ci riesco”.

Ernesto vorrebbe abbracciarla, ma non lo fa, le dice solo: “Ti farebbe bene piangere”. Daria dice: “A volte il troppo dolore fa quest’effetto, è come essere anestetizzati. Io ero come la signora quando ho perso mio fratello”.

La donna risponde: “Sapete apro la porta della camera da letto, e ho la sensazione che lui sia ancora lì. Fino a quando non è andato in ospedale è stata dura. Dio mi ha voluto mettere alla prova con un’esperienza così forte. Era diventato così esile tuo padre che a volte pensavo si potesse disintegrare. Tu Ernesto eri in America, ma credimi non riuscivo più a tenerlo a casa. Tu non sai cosa ho passato. È stato tutto maledettamente veloce”.

L’ uomo si allontana, va in giardino a fumare una sigaretta.  Daria lo segue: “Credimi, tua madre ha fatto il possibile”. L’uomo aspira la sigaretta e butta fuori il fumo guardando il cielo, poi risponde: “Non è per questo che sono nervoso, è per la sua mania compulsiva di aver accumulato negli anni tanta roba che non serve a nulla. Adesso la vedi, si agita per dare via tutto. Aveva rinunciato a viaggiare, pensava solo alla sua villa, a comprare cose. Ha chiuso mio padre in questa bella bolla, lui l’ha seguita a malincuore. A lui piaceva il mare, pescare, ci andavamo insieme. Ha venduto la barca e la casa dove abbiamo trascorso molte estati, per far felice lei, e venire a vivere qui in campagna. Lui ha sempre fatto tutto per mia madre, forse troppo. Lei l’ha inghiottito qui dentro e ora si sta liberando di lui, di se stessa attraverso le cose che ha accumulato. Sembra la soffochino”.

La governante risponde: “Non essere cattivo con lei. È stata più di ognuno di noi a contatto con la morte, come fosse un’infermiera, ne capiva il linguaggio. Ha sempre dormito in clinica, con lui, non lo lasciava un minuto. Va bene, era fissata con il lusso, ma non fargliene una colpa. Ha amato tuo padre. Immagino che tua zia ti abbia parlato male di lei, ma ricorda ci sarà sempre qualcuno che avrà qualcosa da ridire, qualcuno che sosterà che si poteva fare di più”.

A fine pomeriggio Ernesto saluta la madre mentre sono nel giardino di casa, lei prende dal garage un binocolo in pelle e gli attrezzi da lavoro del padre. Lui non vorrebbe nulla, ma Daria gli si avvicina e sottovoce gli dice: “Fallo per lei, poi magari butti tutto al primo cassonetto. Al mio paese quando uno muore le case si liberano dagli oggetti del defunto. Sai da noi si dice che bisogna farlo per vivere, per prendere congedo da chi non c’è più. Solo così la tradizione dice, si può vivere in pace. Aiutala, fallo per lei sta crollando sotto il peso di questa roba”.

Ernesto prende le cose e le infila in macchina, senza dire nulla, poi abbraccia sua madre e le dice. “Fai come in America, metti tutto in giardino, la gente del quartiere verrà e vendi ogni cosa”. Daria risponde: “Bella idea”. Bacia l’uomo che ha visto crescere e accompagna sua madre dentro casa.

La signora guarda tutti gli oggetti sul tavolo, e le altre scatole che suo figlio non ha voluto prendere: “Daria a me tutti questi oggetti mi commuovono, è insopportabile, domani dobbiamo liberarcene. Ho paura solo a toccarli, come fossero bestie vive”. Poi si gira alla finestra e finalmente piange. Sente che separandosi di tutto ciò che la circonda, perderà anche lui, suo marito, e questa volta per sempre. Daria le si avvicina e le prende la mano.

Ernesto è sull’autostrada, la rabbia che provava nei confronti di sua madre scompare, nel momento in cui la immaginarla sola, in una casa di cura. Pensa che l’ha sempre giudicata troppo e amata poco.

È quasi arrivato a casa, ma decide di tornare indietro. Forse le farà cambiare idea, le dirà di non lasciare la Villa, o di prendere un appartamento in città. Forse lei attende un suo consiglio. Domani aiuterà Daria a mettere in giardino, tutti quegli oggetti che a sua madre tolgono il respiro. Lei è sempre stata presente quando lui ne aveva bisogno. Sempre. Sua madre è la persona più illogica, irrealistica che conosca, eppure mentre le porte del cancello della villa si aprono, comprende che lui, ha bisogno di lei.

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