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L’ asino maestro di potatura

Nei miei articoli mi piace mischiare le leggende alla scienza, le tecniche alle tradizioni, da questi mix da dj nasce quest’ articolo che in questi giorni ci ricorda il lavoro duro che fanno i nostri maestri potatori in balia del clima e della fatica nelle nostre vigne.

La potatura favorisce la fioritura, la produzione di frutti e il rinnovamento della pianta. La potatura consente ad aria e luce solare di raggiungere l’interno della pianta, migliorandone la salute generale e proteggendola dalle malattie.

“Un giorno l’asino scappò dalla stalla e corse all’abbeveratoio. Dopo poco tempo che beveva, alzò il muso e cominciò a brucare i tralci di una vite che il contadino aveva messo a pergola per far ombra. L’asino con i morsi strappò alcuni tralci, altri li accorciò e agli occhi del padrone apparve un disastro. Ma con meraviglia, la vite con i tralci troncati, diede in breve tempo una quantità maggiore di uva rispetto alle altre. Il contadino capì che era conveniente potare le viti. Per questo si dice che la potatura è stata inventata da un asino”.

Narra così la leggenda dell’ “inventore della potatura”, tipica del basso veronese e di altre zone viticole italiane.

La potatura è una delle pratiche più antiche compiute in agronomia, essa è figlia della modificazione del rapporto tra l’ uomo e la natura, avvenuta nel momento in cui il primo divenne stanziale. Il mondo naturale non è stato più visto come un qualcosa di imprevedibile e quindi da temere ma come una serie di elementi da potere controllare per i propri bisogni. Questo aspetto non è solo un cambiamento concettuale ma una radicale, lenta e inesorabile modificazione di questo ancestrale rapporto che si tradusse nella nascita di tecniche e pratiche agricole tutt’ora indispensabili.

Il periodo appena esposto, 6000 a.C. circa, ovvero l’epoca nella quale l’uomo da pastore nomade si tramuta in agricoltore sedentario, rappresenta il passaggio dalla vite selvatica spontanea dei boschi alla viticoltura.

I luoghi in cui si è generata questa trasformazione sono gli stessi da cui ha avuto origine la viticoltura e cioè la zona del Caucaso. I numerosi popoli di quell’area furono i primi potatori della vite, sono essi che hanno determinato il distacco di questa dagli alberi dei boschi (in quanto liana) e determinato il successivo allevamento strisciante.

Solo grazie agli Egizi la pianta assunse un tipo di allevamento eretto, attraverso la presenza di pali di sostegno. Anche in questa zona esiste una leggenda sulla nascita della potatura: i dipinti delle piramidi narrano che essa nacque dall’osservazione di come una brucatura localizzata da parte delle capre avesse poi favorito la pianta e la sua attività. Successivamente gli antichi Romani mescolarono le tecniche di potatura degli Egizi, Greci ed Etruschi creando le loro tecniche.
Successivamente con l’evoluzione e la specializzazione della scienza applicata alle tecniche colturali si diffusero in Italia forme di allevamento della vite e modalità di potatura differenti in funzione del territorio in cui venivano praticate e delle sue caratteristiche.

Da una potatura iniziale praticata per eliminare parti in eccesso o, ancor peggio, in funzione di una maggiore produttività, negli ultimi decenni vi è stato un cambiamento di tendenza: la potatura è concepita con lo scopo della qualità del prodotto finale e non più della quantità ed anche le tecniche sono oramai connesse all’era tecnologica in cui siamo immersi.

E’ indubbio come la viticoltura praticata oggi sia fortemente diversa dalle pratiche colturali dei nostri nonni: la prima è frutto della tecnica e della scienza applicata con l’ausilio di video corsi, droni, GPS, modelli 3d e di tutto di più; la seconda è il frutto delle tradizioni, dei saperi tramandati di padre in figlio che tengono vive, ancora per poco, antiche usanze.

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