cultura

La bugia – un racconto di Benedetta Bindi

“Quando dici una bugia, neghi a qualcuno il diritto alla verità” – Khaled Hossein

Tirava un vento ghiacciato, Adriana si alzò il collo del cappotto, andava così di fretta che aveva dimenticato la sciarpa  a casa. Teneva stretta la  mano di suo figlio, pareva lo trainasse. Avevano un appuntamento con una nuova terapista, ed erano in ritardo. Vittorio  aveva quasi dodici anni, da qualche tempo  parlava poco,  viveva isolato dal resto della classe, trascorreva le giornate alle play station invece di fare qualsiasi sport o frequentare gli amici.  Sua madre non se ne faceva una ragione, suo padre lo riteneva una cosa che capita quando il  corpo inizia a cambiare. Sosteneva che viviamo in un’ epoca in cui si va dal medico anche per il primo brufolo del figlio, in cui i genitori usano la lente  d’ingrandimento per qualsiasi cosa. Tra lui e sua moglie c’erano vent’anni anni di differenza. Adriana aveva fatto sempre tutto ciò  che Alberto diceva, era il padre che le era sempre mancato, una guida oltre che un marito. Ma da qualche tempo le sue parole non avevano la stessa forza su di lei:

“Senti, Adriana, se non ha voglia di parlare lascialo stare, più tu e le professoresse lo stimolate, più lui non la fa, è un circolo vizioso. Vedrai, poi si sbloccherà da solo. Magari si è  innamorato di una ragazzina che non lo considera. Alla sua età  si cerca se stessi. L’importante è che parli quando è interrogato e non disturbi in classe. Siamo andati dai migliori specialisti e non  ci hanno capito un cavolo, sai perchè? Non c’è nulla da capire! ”

Eppure le sue amiche avevano figli che andavano alla feste, o a mangiare una pizza con i compagni, e facevano anche due sport. Era vero che Vittorio, tranne un lieve stress da prestazione, comune a tanti ragazzi, all’Istituto di ortofonologia era risultato perfetto, anzi di un’intelligenza superiore alla media. Però lei era convinta che qualcosa ci fosse.

Così, tramite una collega del lavoro, aveva trovato una  psicologa, considerata una vera luminare. Seduta con suo figlio dentro a un taxi,  diretti al primo appuntamento con lei, osservava  Vittorio. Era silenzioso, fissava un punto fuori dal finestrino,  che lei non poteva vedere. I capelli lunghi e chiari gli coprivano parte degli zigomi marcati. La sua bocca carnosa semiaperta pronunciava le note di una canzone, mentre con una mano si aggiustava l’auricolare destro. Le gambe erano lunghe, il busto esile, differente da quello di lei corto e ben tornito.

Anche  suo marito era tozzo e moro, con il  figlio non vi era somiglianza alcuna, tranne per il colore degli occhi celesti, identici al padre. Alberto era orgoglioso quando  parenti e amici gli dicevano che Vittorio sembrava  due o tre anni più  grande della sua età, ed erano fortunati che  si esprimesse in perfetto italiano e fosse educatissimo. Ma questo non poteva bastare ad  Adriana.

Quando  arrivò nello studio della dottoressa, la porta era aperta e lei e suo figlio si sedettero in delle seggioline di legno colorate, che sembravano quelle della casa dei sette nani. La stanza era piccola, con pareti verde erba e steli dipinti che fuoriuscivano  dal battiscopa, per terminare in fiori di papavero, belli da sembrare veri.
La donna non sapeva che di lì a pochi mesi la sua vita sarebbe cambiata e lei sarebbe diventata un altro tipo di madre, migliore di quella che in quel momento si toccava ritmicamente un ciuffo di capelli. Una musica di sottofondo, che produceva i rumori di un ruscello le fece diminuire il ritmo cardiaco. Vittorio disse subito: ”Che bello mamma!”

Poco dopo una signora minuta,  con dei capelli color rame raccolti in una cipollina, il volto sorridente e tondo, il naso piccolo e degli occhiali grandi dalla montatura celeste, le venne incontro. Tendendo la sua piccola mano, con un buffo anello con il volto di un pagliaccio raffigurato, le disse: “Piacere Daniela, accomodatevi”. Poco dopo volle  rimanere da sola con il ragazzo, per poi rivedere Adriana e lasciare suo figlio in sala d’aspetto. Il colloquio tra di loro fu breve: “Devo vedere Vittorio ogni settimana,  mi deve dare del tempo. Io sono come un cacciatore, cerco indizi per arrivare a catturare la preda. Devo trovare il punto zero, quello di assoluta fragilità di suo figlio, bisogna andare a ritroso e vedere quando e dove si è creata  in lui una frattura….Che c’è, lei aveva ragione, ma lui è bravo a  nasconderla bene, Vittorio è di un’intelligenza fuori dal comune”. 

Adriana  aggrottò la fronte, con il pollice destro si friziona nervosamente il palmo sinistro e un’ondata di calore la invase.  Dopo pochi secondi di silenzio, la terapista riprese a parlare: ”Ognuno di noi  è una luna, ha un lato oscuro che non mostra mai a nessuno. Poi, il suo sentirsi superiore agli altri coetanei lo
ingabbia in una certa rigidità e incapacità di godersi la vita. Devo lavorare su vari aspetti del carattere di suo figlio”.

Adriana uscì dallo studio, convinta che le cose con Daniela si sarebbero prima o poi risolte. Tuttavia era inquieta ripensava alle sue parole: “il punto di
rottura, come l’aveva chiamato la psicologa, cosa era?”.

I giorni passavano veloci, tra il lavoro di Adriana e le incombenze quotidiane. Ogni mercoledì pomeriggio la visita dalla terapista. Poi una sera  gli arrivò un messaggio sul telefonino: “Signora, sa quel gioco che si faceva da bambini  ‘scarta la carta’, che consisteva nell’avvolgere un regalo in tanti fogli di giornale, e nel  toglierli a turno uno per volta?” A ogni seduta io tiro via una pagina nera da Vittorio. Vedrà  a  breve arriveremo a scoprire il  suo segreto, ci siamo quasi. Lui inizia a
fidarsi”.

Furono ricevuti dalla psicologa, lei e Alberto, una mattina di fine aprile. Nel frattempo Vittorio era diventato meno ombroso e più loquace,  parlava di volersi iscrivere a pallacanestro, e aveva ripreso ad andare a casa del suo migliore amico. La terapista apparve alla porta con il volto sorridente, tanto che anche ad Alberto si appiccicò la medesima espressione, come se si trovasse di fronte ad uno specchio. Poi lo  sguardo della donna  si fece serio:

”Cari genitori, ora dovrò rivelarvi  cosa si nascondeva dietro ai silenzi  e al comportamento di vostro figlio, e non è  cosa da poco. Nello stesso momento vi dico che
lui sta rispondendo così bene alla terapia, come avrete potuto constatare, che entro  giugno vedrete un altro ragazzo, ve lo assicuro”.

Adriana prese la mano del marito, Alberto iniziò a muovere ripetutamente il piede destro. Ormai anche lui si fidava della donna e temeva per ciò che aveva potuto rivelare. La dottoressa trattenne il fiato poi rispose: “ Vostro figlio vi ha sentito parlare una notte. Era andato al bagno, voi pensavate dormisse, la porta della camera da letto era socchiusa. Parlavate di quanto stesse diventando bello e dicevate che i vostri amici erano invidiosi della sua maturità. Fino a qui niente di male,  anzi, ma quando Vittorio stava per ritornare in camera  ha sentito il padre dire che  un figlio vostro non sarebbe mai stato così  perfetto. Poi  ha sentito la madre sostenere che adottare un bambino di pochi mesi è stata una fortuna”.

La psicologa fissò  con uno sguardo serio entrambi i genitori, e poi con la sua gracile voce disse: ” Ma è  vero? O è tutto frutto dell’immaginazione di vostro figlio?”.

All’ unisono risposero:” è  vero”.

La donna riprese a parlare, mentre le sue guance si accendevano di rosso vermiglio: ”Voi non avete mentito solo a lui, ma anche  a me, è gravissimo non avermi detto che vostro figlio è adottato. La verità, sapete è dritta, ti colpisce come una freccia, ma una bugia di questa portata ti avvolge come un serpente, ti toglie il respiro oltre alla parola. Voi avete la fortuna di avere un figlio saggio come un adulto, perché non vi ha condannato, dice che probabilmente avete mentito 
pensando di non farlo soffrire. Anche se interiormente, quando è arrivato da me, era devastato”.

Adriana  sentiva le lacrime scendere, suo marito era diventato una statua di cera,  il portamento eretto, era ora  come uno stelo ammuffito sotto il peso delle parole della psicologa. La sua schiena si era ingobbita e non riusciva a sopportare lo sguardo di Daniela, osservava la punta dei suoi mocassini in pelle. Tutte le colpe hanno in sé la propria punizione. Sua era stata l’idea di nascondere a tutti la verità. Vittorio era stato adottato, quando lui lavorava in Australia. I primi quattro anni  non avevano vissuto a Perugia. Al ritorno in città era stato facile mentire a tutti. La sua sterilità, Alberto l’aveva vissuta come una colpa da nascondere. Adriana  aveva tenuto fede alla bugia del marito.

Daniela riprese a parlare dura e decisa: ”Vostro figlio non vi ha domandato nulla, perché temeva la risposta. Sapete, si possono ingannare alcune persone anche  per molto tempo, ma non puoi ingannare molte persone per molto tempo. Credo che voi dobbiate iniziare una bella terapia insieme, conosco un buono psichiatra”.

Adriana in preda ad un’angoscia terribile, corse in bagno a vomitare. Lei aveva discusso spesso con il marito sulla necessità di svelare a Vittorio la verità, ma il netto e categorico rifiuto del marito le aveva chiuso la bocca. Mentre si guardava il viso allo specchio ebbe un impulso di rabbia e  sputò al suo bel volto truccato. Aveva mentito a tutti:  genitori, sorella, amici. Per apparire la coppia di successo  e perfetta agli occhi degli altri,  aveva offuscato  la verità a  loro e a chi aveva di più caro: Vittorio.

Guardando il suo volto riflesso nello specchio, si domandò se in fondo avesse amato più  le apparenze che il figlio.

La risposta fu sufficiente a perdere i sensi e svenire nel bagno con le mattonelle rosse, dello stesso colore delle rose fuori dalla finestra che sembravano guardarla con compassione. …

Quando aprì gli occhi vide il volto di suo marito sopra di lei, e gli sorrise. Sentiva che per ora sarebbe iniziata una nuova vita, più vera e consapevole rispetto alla precedente e il pensiero di parlare al più presto con Vittorio, la fece alzare in piedi mossa da un impulso di felicità.

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