cultura

Uirapurù – una piccola immersione nella musica di Heitor Villa Lobos

H. VILLA LOBOS – Uirapurù – Il celebre compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos (1887 – 1959), noto per le sue Bachianas Brasileiras e i suoi Chôros, offre nel poema sinfonico Uirapurù, un indiscutibile saggio di orchestrazione, assai ricco di espansioni tonali moderne, ma anche di melodie, ritmi e timbri d’ispirazione tipicamente nazionale.

Villa-Lobos sviluppò rapidamente il suo linguaggio musicale già da giovane; fondamentale, in quel periodo, fu l’amicizia con il compositore Darius Milhaud, allora segretario dell’ambasciatore francese a Rio. Milhaud lo introdusse alle molteplici tendenze musicali dell’epoca moderna, tra cui la politonalità, nonché l’armonia e l’orchestrazione francese moderna. Tuttavia Villa Lobos seppe sempre coniugare le nuove tecniche compositive – approfondite negli anni trascorsi a Parigi dal 1924 al 1930 – con lo spirito musicale del suo paese, diventando uno degli autori più prolifici del XX secolo (il suo catalogo comprende circa 1700 titoli).

Nel 1934 ideò un balletto – dedicato al coreografo russo Serge Lifar – che riproponeva, con le dovute modifiche, le musiche del poema sinfonico Uirapurù, datato 1917. Il balletto voleva rappresentare antiche leggende degli indigeni brasiliani riguardo a un uccello favoloso, considerato uno spirito dell’amore. Le coreografie e la musica descrivono la sua cattura, da parte di una cacciatrice, e della trasformazione in un bel giovane, che diventa suo amante, ma alla fine viene ucciso da un vecchio e brutto indigeno, e trasformato di nuovo nell’uccello, che vive ancora, incantando i giovani innamorati con il suo canto magico.

Nella foresta, l’uccello Uirapurù esiste realmente (famiglia delle Pipridae), ma canta solo una volta all’anno, quando costruisce il suo nido, e all’alba, ma solo per pochi minuti; secondo la leggenda il suo canto, melodico e incantatore, è così bello che tutta la foresta tace per poterlo ascoltare meglio. Uirapurù ed il suo canto rappresentano dunque il potente simbolo della Bellezza, la cui contemplazione può condurre alla felicità. In Brasile, tutti bramano una piuma o un pezzetto del nido di Uirapurù, considerato un talismano prezioso, tale da rendere colui o colei che li possiede, irresistibile al potenziale partner.

Anche se Villa-Lobos ebbe presumibilmente ampie opportunità di presentare quest’opera, una volta diventato famoso a Parigi negli anni ‘20, non lo fece. Nel 1935 ebbe un contratto per dirigere tre concerti al Teatro Colón di Buenos Aires, in Argentina, e per includere alcune delle sue opere. Con l’avvicinarsi delle date del concerto, il presidente brasiliano Getulio Vargas programmò una visita di stato in Argentina in quel periodo, e il teatro chiese al compositore brasiliano un concerto per onorare il presidente Vargas; dunque Villa-Lobos decise di eseguire, finalmente, in prima assoluta Uirapurù, presentandola come un poema sinfonico. Da allora il brano è diventato popolare come opera orchestrale e come partitura utilizzabile – grazie alle saporite dissonanze e agli ‘effetti speciali’ creati soprattutto da un’originale giustapposizione timbrica e da affascinanti linee ritmiche – per specifiche evoluzioni coreografiche.

Sono tante le influenze stilistiche che provengono da Igor Stravinskij; ma anche il compositore brasiliano seppe compiere i suoi passi in avanti, creando atmosfere armoniche, ritmiche e timbriche decisamente originali, pur conservando molti aspetti della musica dell’età tardo romantica. Villa Lobos seppe fare oro della lezione tonale di Claude Debussy e della colorita tavolozza orchestrale della scuola russa, guidata da Nicolaij Rimskij-Korsakov, tanto che all’orecchio attento non sfuggiranno alcuni passaggi orchestrali tipici dello stile sinfonico del nostro Ottorino Respighi, che in età giovanile era stato a scuola dal celebre maestro d’orchestrazione russo.

Guida all’ascolto

Orchestrazione: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti in SIb, clarinetto basso, sax soprano in SIb, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni in FA, 2 trombe in Mib, 2 tromboni, bassotuba, timpani, percussioni (côco, tamburello, tavolette, piatti, grancassa, reco-reco, tam-tam), 2 arpe, celesta, pianoforte, violino-fono, 2 sezioni di violini, viole, violoncelli, contrabbassi.

Come ebbe a dire l’ottimo musicologo italiano Eduardo Rescigno, il discorso musicale di Villa Lobos “si appoggia più sulle polarità del suono e del timbro che non su quelle della forma.”

Affronteremo quindi l’uso che il compositore fa di alcuni specifici strumenti o di sezioni per poter meglio comprendere la qualità di questa poco nota, ma straordinariamente affascinate, composizione.

L’ascoltatore viene calato letteralmente nella foresta tropicale da una incerta melodia tratteggiata dagli archi all’ottava su registri assai alti (Moderato/Poco adagio). L’intervento del flauto – strumento solista molto importante in questa composizione – presenta la voce del canto dell’uccello Uripaurù. Segue poi (Tempo di marcia) una sezione più movimentata, con una ritmica sincopata di stravinskiana memoria, che ci condurrà di nuovo nei ‘silenzi’ della foresta (Moderato/Poco adagio). Il sax contralto ridisegna poi, a modo suo, il tema del flauto, ridando vita a quel ritmo incalzante che evoca la ricerca dell’uccello misterioso. Le battute seguenti (Canto di Uirapuru), in cui il flauto riprende il tema iniziale degli archi, sono assai significative a livello percussivo, tuttavia, sebbene Villa-Lobos sia famoso nelle sue opere sinfoniche per il suo ampio uso di strumenti a percussione autoctoni, qui se ne riscontra un utilizzo piuttosto limitato (solo côco e reco-reco). Dopo alcune brillanti pagine musicali piene di ritmo e di colore (Allegro non troppo) si sviluppa una sommessa atmosfera magica, esoticamente ammaliante (i ‘glissando’ non mancano), in cui riemergono e si fondono i vari elementi tematici presentati in precedenza (Meno mosso e calmo), attraverso pregevoli simmetrie melodiche.

Più di un tema popolare prende vita passando dalla sezione delle percussioni melodiche (xilofono, vibrafono e campanelli) a quella degli archi sino a giungere agli ottoni (Allegretto). I suoni e i richiami della foresta vengono di nuovo evocati in maniera davvero straordinaria (Moderato) e in uno splendido crescendo conducono ad un assolo di ‘violino-fono’ – uno strano strumento utilizzato da Villa Lobos per questa specifica composizione: il corpo di un violino con qualcosa di simile a un corno attaccato alla sua cassa armonica, progettato per produrre uno strano effetto vuoto (a dire il vero l’esecuzione della São Paulo Symphony, diretta da Karabtchevsky, per la casa discografica NAXOS, rende meglio questo particolare suono) – che chiude misteriosamente questo affascinante poema sinfonico.

di Eduardo Ciampi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *