Nel vangelo di oggi conosciamo Gesù come un uomo virile
E fu così che il Gesù puffoso e pacioccone s’infranse tra i nostri sogni all’acqua di rose.
Gesù oggi si incacchia.
Ma più di questo, Gesù è virile.
Dal latino vires virium viribus (spero non ci siano insegnanti di latino all’ascolto pronte a mazzolarmi se sbaglio) la radice di questo aggettivo che descrive l’essenza del maschio sta nella parola forza.
Eh. Hai detto niente. Per la miseria se abbiamo bisogno di uomini virili. E a dirla tutta, io di un Gesù sbirulino non me ne faccio un’acca.
La forza esercitata nel pieno dominio di sé, la forza non bruta né violenta e nemmeno spropositata o contro i deboli, la forza quella buona è una roba sacrosanta.
È la forza degli eroi che difendono i deboli, che si battono per ideali di giustizia e pace, che non scendono a compromessi e nemmeno hanno paura di dire le cose come stanno costi quel che costi.
La gente del tempio davanti a questo Gesù che mena frustate s’arrabbia: beh è adesso tu che vuoi, chi ti credi di essere per venire a dirci che qua non possiamo stare a vendere cose e animali?!
E Gesù risponde lanciando una sfida che è anche una promessa: bene, uccidetemi, sono pronto, e dopo tre giorni risorgerò.
Usa la metafora del tempio che nessuno capisce, ma non fa niente, perché a Gesù non importa di farsi capire da chi non capirebbe nemmeno guardandolo camminare sulle acque.
Poche chiacchiere dunque. L’uomo virile è pronto a dare la vita a sostegno della forza che usa per affermare la verità.
E non si fida di chi lo vuole far fuori.
Proprio così.
Gesù non si fida della gente che gli batte le mani quando fa i miracoli a Gerusalemme. Per ognuno conosce già azioni e parole nel giorno del suo Venerdì Santo.
Eppure va avanti a fare miracoli. Non disprezza né fa di tutt’erba un fascio, lì in mezzo è pieno dei suoi aguzzini del giorno della Passione, eppure resta.
Cavoli. Diamo del dio a quelli coi pettorali, e questo Gesù, un Dio fatto come si deve, non vogliamo chiamarlo Dio?
Ma su.