cultura

La lettera – un racconto di Benedetta Bindi

Quanto abbiamo perso, quando abbiamo smesso di scrivere una lettera – Liz Carpenter

La lettera l’ho trovata sotto il suo letto. Edoardo e io chiacchieriamo poco,  lui è ermetico, di poche parole, quelle che invece erano infinite e piccole su quel foglio di quaderno, chiuso in una busta, con dietro scritto: ”per papà”. 

Parto spesso per lavoro, e in ogni città  dove mi mandano, la porto con me.

Nei tramonti dell’Africa, nei ghiacciai dell’Islanda, o in qualche città devastata da una guerra, o da una calamità naturale. Così mi pare che lui sia presente. 

Rileggo ad una ad una ogni frase, mi da forza.

Mi ero separato da mia moglie, quando io e lui abbiamo trascorso quella settimana insieme, nella quale ha sentito di dovermi dire ciò che prova per me scrivendomi. 

Io sono stato poco presente, con lui, e con sua madre. Il mio matrimonio  è finito presto, assorbito come acqua sullo scottex, dalle nostre liti continue.  

Non ho mai deciso io i  servizi giornalistici da fare, ma il direttore del giornale per il quale lavoro. Mia moglie ne dubitava.  Aurora ed io siamo stati sposati dieci anni, io le voglio ancora  bene,  e così  sarà  per sempre, anche se tra noi le cose non hanno funzionato. Edoardo aveva sei anni quando mi ha visto uscire via di casa, e diciassette quando mi ha scritto la lettera. Eravamo in montagna, nel piccolo chalet che mi ha lasciato mio padre, vicino a Trento. Un piccolo eremo, sulle dolomiti. Sono tre anni che io e mio figlio non torniamo lì  insieme, e non ho mai parlato con lui della lettera. Penso che creda che  sia ancora sotto il materasso. Invece la porto con me, in giro per il mondo. 

Papà  a volte ti guardo, e mi confronto con te. A me sono cresciuti i muscoli , e ogni giorno mi sento più  forte. Tu torni distrutto dai tuoi viaggi, e ultimamente mi sembri invecchiato. Qui in montagna hai dormito tantissimo. Io volevo fare mille cose,  ma non te l’ho detto, capivo che dovevi riposare. 

Io mi guardo allo specchio, e vedo spuntare la barba, e i dubbi, perché  non ho idea di cosa farò da grande. Tu aĺla mia età scrivevi articoli, e lavoravi l’estate. Spesso invidio il tuo coraggio di partire, e andare anche in zona di guerra. Io a volte ho paura anche  per un interrogazione!

Mi dispiace che per qualche anno ti ho portato del rancore, ma ti volevo vicino alla mamma. Tu sei nero, lei è  bianca. Peccato che non vi siete amalgamati bene. Un bel grigio sarebbe stato perfetto. Non avrebbe vinto nessuno, ognuno avrebbe ceduto un poco del suo colore, per farne un terzo. Chissà  se tu, e lei, ogni tanto ci pensate, che la vostra storia poteva avere un finale diverso? Chissà  se nel vostro cuore non c’è il rammarico di non  averci provato? In ogni caso l’altro giorno ho visto altre rughe sul tuo volto, e due gambe magre che uscivano dai pantaloncini. 

Ho pensato che se ti accadesse qualcosa, vorrei scomparire con te, non posso immaginarmi solo con la mamma. Ho provato per un periodo a far finta che tu non esistessi, ero arrabbiato con te. È  stato terribile, ho avuto attacchi di panico. Mamma non te l’ha mai detto che sul tema in classe per la festa del papà, in prima media, avevo scritto che eri morto. Alcuni amici  hanno pensato per lungo tempo che fossi orfano. Mi vergogno di averti odiato. Quello che ora so, è che mai come oggi,  ti voglio bene.

 Domani torniamo in città, io inizierò la scuola, il karate, rivedrò Francesca, e sarò  felice. Ma la sera mettendomi a letto, attenderò  la  tua chiamata. Mi piace quando mi  domandi: ”tutto bene Edoardo?’, ed io ti rispondo: ’sì papà’.  A me  basta la tua domanda per cambiarmi l’umore, anche se la giornata è andata storta. Sai perchè? Perché  so che ci sei, anche se dall’altra parte del mondo, e questo  mi fa stare bene. Sei forte papà! 

Io leggo queste parole  quando mi sento solo,quando in zone di guerra vedo cose che non vorrei vedere, quando il mio cuore è così duro che non riesce a battere.

 Grazie figlio mio, per avermi scritto una lettera e per darmi la forza di lottare!

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