Gareggiamo nello stimarci a vicenda: l’abitudine gentile che cambia il mondo
C’è un versetto della Bibbia che ogni anno risuona tra le letture della Messa e che, da tempo, mi accompagna come una specie di spina dolce, una domanda accesa nel cuore, latente.
È tratto dalla Lettera di San Paolo ai Romani e dice così:
«Gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10).
Non lo so quante volte l’ho sentito pronunciare. Ma quest’anno — forse per la prima volta davvero — l’ho capito. O meglio, ho iniziato a intuirne la profondità.
E da quel momento ho cominciato a provarci. A metterlo in pratica.
A sbagliare, certo, ma anche a vedere quanto sia potente e rivoluzionario e capace di disarmare il rancore.
San Paolo non dice semplicemente “amatevi”, né si limita a un generico “rispettatevi”. Usa un verbo sorprendente, un verbo dinamico: gareggiate.
Cioè, non limitatevi al minimo sindacale della gentilezza. Fatene una sfida, una gara, una corsa al rialzo nel vedere il bene nell’altro, nel dirlo, nel celebrarlo.
E quanto è controcorrente tutto questo, oggi.
Viviamo nel tempo della critica facile, del giudizio istantaneo, del pettegolezzo che si veste da verità.
È più facile demolire che costruire. È più comodo ironizzare che valorizzare.
Ma io sogno — e cerco — un altro stile.
Un’abitudine gentile, quotidiana, disarmante: parlare bene del prossimo, cercarne il bello, dirlo ad alta voce, magari anche a lui, magari anche davanti agli altri.
Non si tratta di essere ciechi, ma di essere liberi: liberi dall’obbligo di trovare sempre un difetto, liberi dall’istinto di avere l’ultima parola.
La vera grandezza è saper dire:
– “Hai fatto bene questo”
– “Mi ha colpito il tuo gesto”
– “Non ci avevo mai pensato, grazie”
– “Sei stato un dono oggi”
Chi vive così — in famiglia, al lavoro, tra amici, anche per strada — semina pace.
E chi semina pace… raccoglie bellezza.
Gareggiare nello stimarsi non significa ignorare i limiti, ma decidere di guardarli solo dopo aver riconosciuto il valore dell’altro.
Significa abitare il mondo come fanno gli innamorati: non perché non vedano i difetti, ma perché hanno imparato a guardarli alla luce del bene.
Ecco, io ho deciso che voglio vivere così, anche qui su queste pagine de ilCentuplo.
Non perché sono buono, ma perché ho finalmente capito che è l’unico modo per essere davvero felice e rendere felici.
