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Sessismo, pornografia e violenza nelle canzoni amate dai nostri figli: il ruolo di noi genitori

I testi delle canzoni così popolari tra i nostri figli possono avere un’influenza sul loro modo di avvicinarsi alla vita, sulle attitudini che mettono in gioco nelle relazioni con gli altri?

Proprio quelle competenze che sono i pre-requisiti per il rispetto e l’empatia (fattori di protezione nei confronti di qualsiasi forma di violenza all’interno di un legame affettivo) sembrano non esistere nei testi dei brani di molti trapper e rapper, se li analizziamo con la lente del pensiero critico e dell’attenzione alle parole.

Corpi di ragazze trattati come buche da bigliardo in cui infilare la stecca, dichiarazioni d’amore in cui si conquista l’accesso al corpo della partner dicendole che è più bella dei soldi o che le si regalerà una borsa di gran marca. Linguaggi impregnati di sessismo in cui il sesso è dentro ad una relazione basata sul maschio potente che si prende ciò che vuole da una “tipa” che naturalmente “ci sta”, senza se e senza ma. Sono molte le domande da farsi.

Come mai queste narrazioni non arrivano al centro del dibattito culturale e di genere? Come mai quando si parla di linguaggio rispettoso e inclusivo, nessuno ha mai il coraggio di mettere sulla scena anche un’analisi approfondita della cultura “mainstream” che ogni giorno bombarda le orecchie (e quindi forse anche il cuore e la mente) dei nostri figli?

Stupisce anche constatare come artiste di primo piano nel panorama musicale italiano, spesso in prima linea nel dichiarare l’importanza di prevenire ogni forma di violenza verso le donne, siano poi frequentemente protagoniste di “feat./featuring” (ovvero collaborazione musicali in cui cantano parti di un brano) con altri artisti uomini che di questa cultura sessista sono portavoce assoluti. E stupisce ancora di più che spesso i brani in cui sono presenti i “feat.” di queste artiste raccontino storie di relazioni profondamente disfunzionali in cui parole che parlano di “possesso” del maschio nella relazione e di dipendenza affettiva sono all’ordine del giorno.

E’ chiaro che c’è una confusione incredibile nella cultura corrente che sembra mossa molto più dal bisogno di popolarità che dalla necessita di lanciare un vero messaggio preventivo, del quale ci si vorrebbe proclamare coerenti testimoni e paladini.

Molti genitori chiedono a noi specialisti se si deve vietare l’ascolto di questa musica. La risposta è: no. Non serve nascondere qualcosa che è nelle vite di tutti. Occorre promuovere un pensiero critico che aiuti ad andare oltre la trasgressione evidente presente in quei testi e coglierne il significato reale nella vita di tutti e tutte. Bisogna dialogare intorno ai testi. Senza fare prediche. Facendo soprattutto domande.

Spesso, lavorando con preadolescenti e adolescenti, chiedo loro di immaginarsi concretamente protagonisti di un testo che rappresenta una situazione oggettivamente problematica. “Ti piacerebbe essere trattato in questo modo? Se il tuo migliore amico parlasse di te usando questi termini, come ti sentiresti? Se un ragazzo ti dicesse che lui è la tua stecca da bigliardo e tu sei la sua buca, che cosa proveresti?”.

Penso che il problema grande relativo ad alcuni progetti musicali che usano parole violente, volgari e sessiste è relativo al fatto che alcuni adolescenti sono immersi nell’ascolto di questi brani da mattina a sera, senza alcun confronto e mediazione con figure educative. Un “bum bum” martellante di musica arrabbiata, di suoni e parole violente che non ha mai un contraltare, un’integrazione mediata da altri messaggi, altre proposte formative. E spesso chi è così “dentro” questo genere di ascolto, lo trasforma nella propria cultura personale e perciò ne assume identità e valori.

Alcune sere fa, dopo una conferenza, ho avuto la fortuna di trascorrere un dopo cena con 5 adolescenti che avevano fatto i volontari nell’accoglienza del pubblico dell’evento di cui ero stato protagonista. Uno di loro è producer di musica trap. Proprio quel giorno era uscito l’album del suo artista preferito. Abbiamo parlato a lungo di cosa gli piacesse e cosa invece avrebbe voluto diverso. Io, durante il viaggio in auto per raggiungere la sede dell’incontro, avevo ascoltato due volte l’intero album sapendo che anche un mio figlio non vedeva l’ora che uscisse. Ad un certo punto, il quasi 18enne mi ha detto così: “Il problema che c’è in queste canzoni è che quando cantano l’amore, lo cantano sempre sporco e maledetto. Non è mai una cosa davvero bella”. Penso che questo sia ciò che serve: non censurare, ma aiutare a produrre significati.

Famiglia Cristiana mi ha chiesto di scrivere un lungo approfondimento su questo tema che potete condividere con altri genitori e che può rappresentare un ottimo spunto di discussione in classe con i vostri studenti e studentesse.

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