“C’è ancora domani”, il commento della giovane Marta Cursi
Paola Cortellesi con il suo primo film da protagonista e regista, ci riporta nella Roma del secondo dopoguerra e ci racconta la storia di Delia, madre e moglie di una piccola famiglia di Testaccio, vittima delle violenze del marito Ivano, padre di famiglia e simbolo del maschilismo e del peggior patriarcato. Delia rappresenta la condizione delle donne di una classe povera dell’epoca, è semplicemente madre e moglie: è questa l’immagine che mi è arrivata a primo impatto, quella di una persona che esiste solo in funzione dei compiti che deve svolgere ossia pensare alla casa e servire marito e famiglia.
Una donna che accetta la sua condizione senza aspirare a un cambiamento, che quasi si rassegna alla vita che le aspetta e soprattutto senza nemmeno pensare che nonostante il proprio sesso, resta pur sempre una persona, alla quale spetterebbero dei diritti.
Sicuramente un ruolo fondamentale gioca anche Marcella, la figlia maggiore, prossima al matrimonio con Giulio, un ragazzo appartenente a un ceto sociale più elevato rispetto alla piccola famiglia di Testaccio; Marcella è come se riuscisse a vedere la madre con i nostri stessi occhi, da un lato la compiange per i modi barbari con cui viene trattata dall’altro lato si mostra arrabbiata non solo per la rassegnazione di quest’ultima ma anche per il fatto di non voler accettare lo stesso futuro e la stessa vita caratterizzata da quel trattamento di sottomissione con cui Delia ha “imparato” a convivere.
Tra l’altro uno dei momenti più iconici del film, secondo me, è proprio legato a Marcella ossia quando trova il famoso bigliettino. Il contenuto, oltre ad essere inaspettato, è anche ricco di significato: è come se fosse un invito e un inno all’emancipazione femminile, si configura una fattispecie di diritto “al sapere”, cercare di puntare sulla propria intelligenza senza dipendere necessariamente da un uomo.
Uno dei temi che emerge maggiormente è la disparità sociale tra uomo e donna.
È particolare notare di come la regista abbia trattato questo tema a partire dal modo in cui vengono rappresentate le scene di violenza: non si vedono i momenti veri propri caratterizzati da schiaffi e pugni ma vediamo che i due coniugi riproducono la violenza come se stessero ballando. Lo scopo della Cortellesi era proprio quello di evitare che si vedessero tutti quei particolari macabri che fanno attirare l’attenzione solo su quello. Personalmente mi sono immedesimata nella protagonista e ho avuto l’impressione che quel ballo in realtà fosse un modo di vivere il momento stesso della violenza: è come se il corpo della donna, nel momento in cui viene percosso, non riuscisse a comprendere a pieno ciò che le accade dentro di sé, quindi è come se con la mente stesse vivendo un momento diverso come quello del ballo e magari in quella visione la protagonista si immagina in realtà un marito che la ama davvero con cui danza serenamente.
Credo che l’abilità più grande che riconosco alla Cortellesi sia quella di essere riuscita a raccontare il dramma di queste condizioni con una velata ironia. ,E’ un film che riesce a strappare un sorriso ma al contempo fa venire un nodo in gola e non tanto per la sofferenza che traspare quanto, a mio parere, per il pensiero che nonostante i tempi si siano evoluti, ad oggi statisticamente una donna viene uccisa ogni 3 giorni e sembra proprio che questo “fenomeno sociale”, denominato femminicidio, non si plachi.
Allora mi chiedo: siamo sicuri che l’ideologia possessiva del maschilismo degli anni ’40 sia così tanto cambiata?
“C’è ancora domani” ci fa capire l’importanza di avere diritti e la fortuna che abbiamo nel vivere in un periodo storico dove ci è permesso di parlare e pensare liberamente e questo grazie a persone che in passato hanno lottato per tutto ciò, per un altro verso invece ci fa capire che non siamo ancora arrivati ad una fase di totale uguaglianza tra sessi e che per aspirare realmente ad un cambiamento bisogna iniziare a promuovere un’educazione alla non-violenza, al rispetto reciproco e alla non discriminazione.
È un film che merita di essere visto, un film che fa emozionare, ridere, a tratti piangere e ci insegna che il rispetto e la dignità devono essere riconosciuti a tutti, come ci ricorda l’articolo 3 della nostra Costituzione, questo indipendentemente dal sesso ma semplicemente in quanto esseri umani.
Marta Cursi