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Il gesto, il dono

Per prima cosa, la storia: Sara (nome di fantasia, unica cosa inventata in queste righe) è una trentenne stupenda con gli occhi da cerbiatta ed una massa di capelli neri lucidi da girarti a guardarla. Lavora come pubblicista, ha una vena artistica: in poche parole è bellissima. Ha un compagno ma ha anche una sorella poco più giovane e bella quanto lei oltre a due genitori separati tra loro ma presenti e coesi nella vita delle figlie. E’ un martedì mattina, sono circa le 8, orario brutto per noi del mestiere: traffico isterico, rischio alto di traumi sulla strada. E sulla strada appunto, Sara viaggia in scooter, entra in una rotonda, dietro di lei c’è un camion con un rimorchio: enorme, pesante, lunghissimo e dotato di quel maledetto punto che chiamano angolo cieco. E’ un attimo: Sara viene travolta e calpestata dal tir. Perde conoscenza e rischia di morire ma l’elicottero del 118 è già in volo, le atterra vicino, la prende e la porta velocemente a Niguarda.

In pronto soccorso, Sara incontra il trauma team: lei dorme ma loro sanno cosa fare. Sempre di corsa: trasfusioni, esami, tac, sala operatoria…la situazione è grave ma nessuno si dispera e tutti si lavora…a notte fonda Sara arriva in Terapia Intensiva e li ci sono io ad accoglierla, tappa finale di questa staffetta tutta magica.

I parametri migliorano, il cuore batte forte e giovane. Parlo con mamma, papà, sorella e compagno: sono distrutti ma si fidano. Tiriamo mattino: arriva mercoledì. E poi arriva anche giovedì. Sottoponiamo Sara ad un secondo intervento e questa volta iniziamo a ricostruire: riallineiamo le ossa, curiamo le ferite, ripariamo i muscoli. C’è un’altra atmosfera in sala operatoria: non lottiamo più per far vivere Sara, ormai lottiamo per farla tornare bella come prima. Ma quando Sara rientra in Rianimazione, c’è qualcosa nelle sue pupille che non torna, mi allarmo, la porto in tac e lì il responso incredibile: morte cerebrale. Davanti alle immagini, piango, in silenzio. Tutti mi guardano, nessuno si scandalizza: un medico che si commuove è un medico che ci tiene. Riaccompagno Sara in reparto, condivido la notizia con i colleghi e con gli infermieri: siamo tutti attoniti, ammutoliti, distrutti per una complicanza che stravolge i piani e che lo sappiamo ci porterà via Sara da lì a poche ore. Decido di parlare io con la famiglia, conosco tutti i suoi cari da giorni, ho instaurato una buona alleanza…vorrei scappare ma sento che è mio compito: dico, spiego, respiro, accolgo domande scomode, abbraccio spalle distrutte, asciugo lacrime amare…poi la madre, mi guarda, pianta i suoi occhi nei miei e mi chiede “almeno può donare?”. Sei ore dopo Sara è per la sua ultima volta in sala operatoria, questa volta per regalare tutti i suoi organi a giovani coetanei in lista di attesa per un trapianto.

I numeri: nel 2023 in Italia ci sono state 2200 donazioni che hanno corrisposto a oltre 4000 trapianti di organi solidi facendo piazzare il nostro paese al secondo posto in Europa per numero di donazioni in rapporto alla popolazione (al primo posto da decenni c’è la Spagna; noi abbiamo un numero di donatori pari a 28 su un milione di abitanti). Le regioni più generose a donare restano la Toscana, il Veneto e l’Emilia Romagna. La regione più efficiente a trapiantare è stata la Lombardia che in un anno ha collezionato 860 trapianti. Questi numeri sono incoraggianti eppure ancora molti pazienti affollano le liste di attesa. Per questo motivo negli ultimi 20 anni, la medicina si è spinta nella ricerca così tanto in ambito trapiantologico da arrivare ad ammettere come donatori non solo le morti cerebrali ma anche le morti cardiache. In pratica, mentre in passato potevano donare gli organi solo le vittime di gravi traumi cerebrali che sviluppavano un quadro di morte cerebrale, oggi con tecniche di circolazione extra corporea si riescono a donare gli organi anche quando il cuore si arresta per oltre 20 minuti perché appunto grazie agli strumenti di perfusione, gli organi restano sempre irrorati.

Per ultimo, perché donare?

Donare gli organi è un po’ come gettare un sasso in un lago. Noi siamo seduti sulla sponda, guardiamo la nostra vita che in maniera più o meno dolce, più o meno improvvisa ci saluta e che facciamo? Decidiamo di lanciare un sasso nel lago: dal tuffo del sasso si generano dei cerchi d’onda che si allargano man mano e che sono capacissimi di arrivare dall’altra parte, sull’altra sponda…anche se noi l’altra sponda non possiamo vederla perché è troppo lontana. Il bene che facciamo in vita o alla fine di essa è esattamente questo: un insieme di cerchi d’onda, autonomi, in grado di viaggiare lontani e per sempre, a nostra memoria. Si parlerà di noi sull’altra sponda, nelle vite di chi riceve gli organi che doniamo.

Un cuore donato dopo un incidente stradale genera vita: viene trapiantato ad una giovane donna che con il nuovo organo può restare incinta e regalare al mondo un uomo nuovo. I reni donati dopo un trauma cranico possono liberare dalla dialisi un uomo di mezza età che torna a dedicarsi alla sua famiglia ed al suo amatissimo lavoro. Il fegato donato dopo un ictus gigante può riportare alla normalità una famiglia intera ove l’ombra della cirrosi ha oscurato ogni cosa per anni. I polmoni donati dopo un arresto cardiaco improvviso possono liberare dalla bombola dell’ossigeno un maestro affetto da enfisema che può tornare ad insegnare. La donazione d’organi è il modo più compiuto di far parlare del bene che facciamo. Con la donazione d’organi inoltre aiutiamo i nostri cari a superare il dramma della perdita: il bene supera il dolore, si intravede uno scopo, un filo rosso tra gli uomini, tra le storie. Il lutto si supera prima perché la morte genera vita.

Come fare?

Per diventare donatori ossia per esprimere in vita la propria volontà donativa esistono diversi modi tra i quali dichiarare la propria volontà in comune al rinnovo della carta d’identità oppure iscriversi ad AIDO oppure presentarsi allo sportello “Scelta e revoca” delle varie ATS. In mancanza di questo, parliamo della donazione in casa, in famiglia e se anche non lasciamo nulla di scritto, in caso di morte, i medici chiederanno ai nostri parenti se il nostro desiderio sarebbe stato quello di donare (si procede alla donazione solo con il consenso degli aventi diritto).

Il 14 Aprile è stata la giornata nazionale della donazione ed ecco la frase giusta con cui chiudere: non so per chi, ma so perché…

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