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Incontri di Famiglia

In occasione della giornata dedicata alla Famiglia, la parrocchia San Lino alla Pineta sacchetti ha organizzato un incontro con padre Alfredo Ferretti, direttore del consultorio famigliare “Centro La Famiglia” in via della Pigna, a Roma.

Per più di un’ora quest’uomo sincero e appassionato ci ha tenuto incollati a una disamina sulla crisi della famiglia e sul suo lavoro: ascoltare e sostenere famiglie fragili, in crisi o distrutte.

Problemi profondi, questioni immense, sfaccettate e complicatissime, a volte disperate, eppure…

Per chi come me oggi era presente e cerca da questi confronti anche piccolissime verità, frammenti di soluzioni o semplicemente meno solitudine, penso che oggi ci sia molto materiale da custodire e su cui lavorare come “un bravo artigiano” (cit).

Padre Alfredo, con i suoi quarant’anni di militanza nel consultorio, non ha usato giri di parole per mettere subito in chiaro che l’unico modo per preservare l’unità famigliare è aver cura del matrimonio.

La coppia è messa in crisi da modelli relazionali che spingono gli attori sociali a ricercare la propria felicità e quale legame, più del matrimonio e del suo “per sempre”, può essere considerato più antitetico a questa ricerca che oggi reclama l’autorealizzazione, l’autoaffermazione e si realizza nell’appagamento hic et nunc?

Come può una relazione dove all’ordine del giorno ci sono discussioni, mediazioni, sopportazioni – nella speranza che l’altro “cambi un po’” o “capisca” – avere la possibilità di sopravvivere a sé stessa?

Padre Alfredo ci ha raccontato – attraverso le storie delle famiglie che da anni supporta – quali sono gli equivoci più pericolosi nella coppia, le dinamiche forse più insidiose. Ognuno di noi presente oggi è stato colpito probabilmente da uno o dall’altro esempio, a seconda di quello in cui ha ritrovato il proprio vissuto.

E allora, io personalmente mi porto a casa alcune riflessioni che ho bisogno e voglia di fare mie:

  • Come vivo le debolezze e i limiti dell’altro? Le strade sono due: farne un’arma per indebolirlo o farne un motivo per “accoglierlo” nel mio cuore, perché di fronte a quel limite, in quel giorno, in quel posto ho detto Sì.
  • Posso pretendere l’amore così come l’ho immaginato, al di là delle inclinazioni e della natura del mio compagno? O posso invece esigere nell’etimologia latina del termine – spingere fuori – un modo di amare che già c’è e che aspetta solo di avere il contesto giusto, il “giardino giusto” per fiorire?
  • È l’amore che ci rende felici o è l’Amare che ci fa felici?

Poche domande, fondamentali, che oggi hanno bisogno di una risposta. Non è semplice, certo, ma forse si può ancora scegliere, prendere coscienza e affidarci a un Amore più grande che esce dagli egoismi particolari, da quotidianità malate e che ci proietta verso quella vocazione che, se perseguita e realizzata, trasforma l’acqua in vino.

Alessandra Zaza

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