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La famiglia di Gesù si inscrive subito nel lungo elenco che giunge fino ai nostri giorni e che comprende i profughi, i clandestini, i migranti.

La famiglia di Gesù si inscrive subito nel lungo elenco che giunge fino ai nostri giorni e che comprende i profughi, i clandestini, i migranti.

Infatti, quando il bambino Gesù ha pochi mesi, Giuseppe è presentato in marcia con lui e con la sposa Maria attraverso il deserto di Giuda per riparare in Egitto, lontano dall’incubo del potere sanguinario del re Erode.

Betlemme è il punto di partenza del racconto. L’imperatore romano Adriano nel II secolo aveva confermato la presenza di un primo culto cristiano attorno a una grotta venerata dai primi cristiani, sconsacrandola con un tempietto dedicato ad Adone. Già nel 220 il grande maestro cristiano Origene di Alessandria d’Egitto, giunto in Palestina, scriveva: «In Betlemme si mostra la grotta dove, secondo i vangeli, Gesù è nato e la mangiatoia nella quale, avvolto in poveri panni, fu deposto. Quello che mi fu mostrato è familiare a tutti gli abitanti della zona. Gli stessi pagani dicono a chiunque li voglia ascoltare che in quella grotta è nato un certo Gesù che i cristiani adorano» (Contro Celso, i, 51). Qui, da secoli, i cristiani celebrano con fede e gioia il Natale del Signore: il 25 dicembre i cattolici, il 6 gennaio gli ortodossi, il 19 gennaio gli armeni; date diverse in ricordo di una data ignota di quell’anno — forse il 6 a. C. (è noto che l’attuale datazione dell’era cristiana quasi certamente è erronea) — in cui Gesù è entrato nella nostra storia. Anche in questo egli si rivela povero, assente com’è dagli annali e dalle anagrafi imperiali.

Su di lui, anzi, si stende subito l’incubo della repressione. Gesù, visto dall’occhiuta polizia segreta erodiana come uno dei tanti piccoli pericoli per il potere ufficiale, doveva essere subito liquidato. Inizia così per Gesù la vicenda di profugo.

Gianfranco Ravasi

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