editoriali

Il dramma delle società in cui viviamo sta nel dare il massimo peso ai contatti sociali, pur vivendo in un tragico isolamento

(di Claudio Risè) – Dietro questa scia di morti estive c’è la distruzione dell’affettività. Figli di genitori benestanti e soddisfatti della vita, fidanzati che puniscono le compagne: gli identikit dei killer delle ultime settimane. Uniti dall’incapacità di amare perché ridotti a monadi rancorose dalla società di massa.

Siete genitori di mezz’età ben portanti, sportivi, escursionisti appassionati? Soprattutto intestatari di beni, mobili o immobili? Okkio ai figli scontenti, malmostosi e dormiglioni, attualmente purtroppo in cima alle classifiche della cronaca nera, e quindi anche dei nuovi sospetti. Di solito seguiti da prove, in genere ritrovate dalle parti dei fiumi, grandi ripulitori di ogni cosa. Sono spesso giovani difficili da far scendere dal letto, ma – dopo – pronti a tutto, disposti a farne e pensarne più del diavolo. Il rischio più frequente per l’adulto benestante non è più infatti (come una volta) la persona di servizio che ha messo gli occhi su gioielli e contante, e neppure l’ammiratore tardivo che ha scoperto il tuo fascino maturo. No, i sospettati numero uno sono i figli venti-trentenni che raccontano ai poliziotti di aver visto, o sentito, questi genitori che “andavano a camminare” nella natura. Poi, più nulla. L’ultimo era stato il bolzanino Benno, superpalestrato, che negò per molti mesi di sapere qualcosa dei genitori, ritrovati alla fine, uno dopo l’altro, nella acque del fiume. Ora è scomparsa (dall’8 maggio) l’ex vigilessa di Roncadelle in provincia di Brescia. Nelle foto appare un altro volto solare, che dimostra vent’anni in meno di quelli che aveva, un evidente gusto per la vita, familiarità per il proprio corpo, gli sport, la natura, come le foto dei poveri genitori di Benno. Sembra però ci siano, finora, contraddizioni, in quanto detto dalle figlie sul suo partire nella natura, il cellulare da cui non si separava mai per rimanere in contatto con la terza figlia, autistica, e ritrovato invece a casa, una scarpa materna comparsa nei pressi di un torrente dove sarebbe stata subito ritrovata. Indagate quindi per omicidio volontario e occultamento di cadavere due figlie e il fidanzato della maggiore.

Comunque sia andata è evidente come nelle ribellioni esistenziali di questi giovani tormentati (anche quando alla società si presentano come forti, come Benno, che alla fine ha confessato), non sempre i figli apprezzino la felice estroversione dei genitori. La invidiano ma non riescono a parteciparvi, anche perché a differenza di loro non sono in grado di produrre progetti che li convincano e li impegnino a fondo, guadagnano poco o niente e finiscono col chiudersi in un nichilismo depresso e carico di astio. La loro vita, come purtroppo quella di moltissimi giovani italiani, è un precipitato di delusioni, frustrazioni, infelicità, un impressionante sunto delle mancanze e inadeguatezze formative della società e della sua classe dirigente. E di quelle dei giovani, naturalmente.

Il fatto è che in un mondo così (è sotto gli occhi di tutti) “il cuore si chiude”: come potrebbe restare aperto? In una società dove l’unico valore riconosciuto è il denaro, senza un’autentica affettività attiva e socialmente apprezzata e protetta, i genitori diventano allora quelli che impediscono ai figli di godere del patrimonio famigliare. Che diventa allora l’oggetto delle loro fantasie e dei loro desideri, di cui farebbe molto comodo impossessarsi, tanto più che questi ragazzi escludono di riuscire a farne uno da sé. Accade così che i genitori amanti della natura (dalla quale spesso provengono) vengano buttati in qualche suo angolo, e lasciati lì.I genitori escursionisti agiati non sono però le uniche vittime della distruzione affettiva delle società tardomoderne. Lo sono anche le ragazze ossessivamente desiderate da giovani squinternati, come la povera Lucia, la quindicenne di Monteveglio, nel bolognese, accoltellata a morte da un sedicenne che ha raccontato di aver ricevuto da un demone l’ordine dell’omicidio. Che può benissimo essere stato il prodotto di una classica paranoia da cannabis; ma anche no. Perché quando Dio viene allontanato a forza dal sistema di comunicazione e educazione del potere, al suo posto subentrano naturalmente le pulsioni irrazionali e aggressive.

“I diavoli”, come dimostrano gli aiuti anche pubblici generosamente offerti alle feste tipo Hallowen, e altre molto lodate e finanziate manifestazioni di dionisismo de noantri; il tutto accompagnato da uno sfavore pressoché assoluto per le tradizioni cristiane. Il fatto è che l’affettività non è neutra, viene dal cuore, è “il soffio dell’amore” per l’altro e per il suo bene, come spiega il filosofo Dietrich von Hildebrand, filosofo fenomenologo (che ebbe tra i suoi allievi anche Karol Wojtyla, San Giovanni Paolo II), nel suo libro L’arte di vivere, scritto con sua moglie Alice, ed ora pubblicato anche in italiano (Morcelliana). Si tratta di un testo chiave per capire dove si origina il malessere che ispira delitti così efferati e simbolicamente eloquenti come l’omicidio dei genitori, o quello di ragazze giovanissime. L’amore è legato a un bene, verso se stessi, gli altri, e verso Dio, come l’odio è legato a un male, all’infelice egoismo di chi non riesce a guardare verso l’alto. È il “cuore chiuso” dell’uomo di oggi, un fenomeno che von Hildebrand aveva sperimentato direttamente, da vittima, fuggendo la morte prima dalla Germania in Austria, poi dall’Austria in America. Un fenomeno che si origina anche (a parte le specifiche perversioni dei dittatori e ideologie annesse) dal fatto che le società contemporanee tendono a modellarsi sulle masse, come ha ben descritto Hanna Arendt.

Tuttavia: “Dio non conosce le folle, ma solo gli individui” come aveva già notato Kierkegaard. Le masse non hanno cuore, ma pulsioni che le dominano, e sono costituzionalmente psicotiche. Mentre è proprio il cuore personale, con la sua coscienza e responsabilità, il rappresentante più intimo dell’amore, come ricorda qui von Hildebrand. E aggiunge: “Il dramma delle società in cui viviamo sta nel dare il massimo peso ai contatti sociali, pur vivendo in un tragico isolamento”. L’omicida della quindicenne che amava tirare con l’arco, i figli che uccidono i genitori sono monadi solitarie appartenenti però a masse informi, manovrate (come dice von Hildebrand) “da una piccola minoranza che fa valere le sue opinioni su una maggioranza credulona e debole, che ha ceduto”. Ed ora è preda “di ogni egospasmo”; dal “bisogno di essere approvati e apprezzati, all’orgoglio e alla concupiscenza”. Si perde così ogni “attenzione al significato e al valore dell’individualità dell’altro, la considerazione verso di lui, anziché imporre i nostri desideri su di lui”. Magari si pensa anche di affermare in questo modo i “diritti”, come ormai usa dire anche ai massimi livelli. È così che vincono “i demoni”.

Claudio Risè

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