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Il vuoto interiore dei nostri figli: la vera sfida educativa

Sto riflettendo molto in questi giorni su cosa sta accadendo nel percorso di crescita dei nostri figli. L’adolescenza sembra essere diventata un tempo che fa da detonatore a tutto quello che non è stato curato e coltivato nelle fasi precedenti della crescita. Si tocca con mano il disagio di chi sta crescendo, la confusione di molti giovanissimi che faticano a capire qual è il modo in cui cercare di diventare quello che vogliono essere. Le azioni disfunzionali e lesive verso sé e gli altri prendono spesso il posto della parole. Il dolore che ci si infligge o si infligge agli altri serve a rendere visibile qualcosa che vive dentro e a cui non si sa dare un nome, una forma, un significato.

Le motivazioni con cui si spiega tutto questo sono le più diverse: la fragilità di chi cresce e/o di chi sostiene la crescita, la performatività spinta al massimo e le richieste di essere sempre al top, l’incapacità a reggere la frustrazione, l’iperstimolazione che proviene dalla vita virtuale, l’iperconnessione, l’isolamento e il senso di solitudine che pervade, quando con gli altri non si riesce a fare squadra e quando non c’è qualcuno che ti permette di abitare una spazio relazionale in cui diventa possibile parlare e condividere ciò che dentro provoca turbamento e disagio.

Ognuna di queste ragioni ha senso. Nessuna di queste ragioni spiega però il tutto. Non c’è una causa, ci sono tanti fattori di rischio. Prima di essi, però, mi sembra che la crisi generazionale e il dolore che essa mette in scena sia dovuta alla “mancanza di senso” con cui si va incontro alla vita. C’è un vuoto interiore che non viene nutrito. E’ un vuoto relazionale (la solitudine pesa moltissimo), è un vuoto di rispecchiamento (lo sguardo dell’altro mi permette di sentirmi visto e sentito), è un vuoto di pensiero (è scarso l’allenamento all’autoriflessività e al pensiero critico).

Soprattutto però, mi sembra che stiamo crescendo figli dentro ad un vuoto che è soprattutto etico e morale.

Confrontarsi in modo chiaro, mentre si cresce, con le categorie del bene e del male, con la consapevolezza che dobbiamo tendere al bene e che condurre la vita in una tensione etica ci spinge a migliorarci non in senso semplicemente performativo, ma in una prospettiva di bellezza e cooperazione con chi vive a fianco rappresenta un pre-requisito necessario per permettere a chi cresce di costruire la propria identità non solo nella dimensione dell’Io, ma anche in quella del Noi.

Arrotolarsi intorno alla totale centratura sull’Io è fonte di enorme fragilità narcisistica, che sembra essere oggi il problema principale che affligge non solo i nostri figli, ma anche il mondo adulto.

L’adolescenza è sempre stata un tempo di grandi idealità e di enorme impegno. Oggi i nostri figli hanno ideologie che sostituiscono ideali e spesso vengono sollecitati ad una gratificazione istantanea che fa andare a mille nel qui ed ora ma che fa perdere l’orizzonte di senso, che – per definizione – si compie solo quando ci si decentra da sé e si sposta lo sguardo in avanti, anche grazie ad una tensione di cui desiderio ed etica rappresentano i motori principali.

Io che mi occupo di psicologia sento che spesso la mia disciplina non basta. Bisogna fare affondi in altre aree della vita: quella filosofica e quella spirituale prima di tutto.

Lo scrivo, per dirlo prima di tutto a me stesso. Come uomo e come padre. Oltre che come psicoterapeuta. Forse è da qui che si deve ripartire. Nell’educazione di chi sta crescendo. Ma anche nel progetto di vita di cui noi adulti siamo ogni giorno responsabili e protagonisti.

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