La Scelta di Vivere: il coraggio di alzare la mano contro se stessi (e il Giudizio degli Altri)
Vorrei urlare quello che sto per scrivere.
E allora leggete come se lo stessi urlando.
Ragazzi, alzate quella benedetta mano!
Ma non contro il vostro corpo, non per salire sopra un balcone e gettarvi.
Alzatela e dite quello che tenete dentro.
“Scusate, vorrei dire che io non ci sto più”.
“Vorrei dire che questa ansia mi sta schiacciando”.
“Questa corsa non mi appartiene”.
“Ho sbagliato sì, ho detto bugie, perché dire la verità mi avrebbe fatto male. Guardarvi negli occhi mi fa male, perché ci leggo dentro giudizio dolore aspettative.
Ma adesso basta.
Mi fermo, scendo, ricomincio a vivere”.
Ragazzi!
Signore mio se potessi venirvi a pigliare uno a uno, lo farei.
Ora ve lo scrivo qui, come l’ho detto al microfono una settimana fa.
Era un pomeriggio di fine sessione.
Salivo le scale, dovevo registrare l’esame di psichiatria.
Da fuori tutto bello tutto bene voti alti tanta stima.
Dentro morivo.
Salivo quelle benedette scale della palazzina, e avevo nausea.
Di me stessa, della vita.
Mi scendevano di fianco ragazzi sorridenti che sembravano sapere quello che io non ancora avevo capito.
Mi sentivo irrisolta.
Quella stessa felicità degli altri volevo, quella di chi sa dove andare, invece io proprio non la riuscivo ad afferrare.
E mentre salivo mi chiedevo perché.
Perché quell’insoddisfazione profonda, perché quel bisogno di far finta che andasse tutto bene, perché la sensazione di vivere la vita di un altro.
Ho registrato l’esame, mi sono riavviata per le stesse scale.
E a quel punto ho detto che basta.
Qualcosa sarebbe finito, ma non io.
Sapete cos’è successo quando ho scelto di vivere, e finire la corsa che non m’apparteneva?
Moltissimi mi hanno giudicata. Moltissimi si sono allontanati. Moltissimi non hanno capito.
Ho sofferto?
Aivoglia.
Ho avuto paura?
Aivoglia.
Ma poi ho scoperto che finché soffri, e hai paura, significa che sei vivo.
Che cadere fa male, ma quando cominci a rialzarti, ragazzi, la vita resiste. È più forte delle cadute.
Che la sofferenza mi serviva per diventare adulta, e riconoscere il dolore negli occhi degli altri.
Ragazzi.
Alzate quella mano.
Una preghiera, di cuore, per Alessandro e la sua famiglia.


