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Al funerale la parola ai figli: «Papà, perché hai sacrificato la famiglia al lavoro?»

Giacomo Chiapparini, 74 anni, è morto il 6 agosto nella sua azienda casearia nella Bergamasca, schiacciato sotto il peso delle forme di Grana. Una morte orribile dopo una vita passata a lavorare. Lascia agli eredi un patrimonio imprenditoriale da fare invidia.
Giorno del funerale. Come spesso accade, i figli gli rivolgono un pensiero in chiesa. In genere, in queste occasioni, del defunto vengono esaltati i pregi e attenuati i difetti. Va bene lo stesso. I figli di Giacomo, invece, decidono di essere onesti con sé stessi, con il padre, con i presenti. La loro confessione commuove e fa riflettere: «Quante volte, papà, abbiamo sperato che rallentassi la tua corsa nella vita e quindi potesse rallentare anche la nostra, così da vedere cosa c’era fuori dal finestrino…».

Triste. È proprio vero, tra i valori da perseguire nella vita l’equilibrio è ai primi posti. Le passioni, come una sorta di calamita, ci attraggono, e chi ne avverte il fascino obbedisce, ottenendo non poche volte ottimi risultati. Basti pensare al mondo della musica, della pittura, del cinema, della scienza o degli affari. Senza il canto di questa ammaliante sirena, niente di veramente grande è stato realizzato.

Il protagonista di un successo, però, è pur sempre un essere umano, che s’innamora, si sposa, mette su famiglia. La famiglia tenti di cacciarla dalla porta, la ritrovi alla finestra. La “tua” famiglia, verso la quale hai doveri che non puoi delegare a nessuno. Per quanto ci si dia da fare, nulla può sostituire adeguatamente la famiglia. Nessuna governante, nessun pedagogo può prendere il posto dei genitori. C’è nel rapporto genitori-figli una sorta d’intreccio tra amore ed egoismo. Da questo strano amalgama, adeguatamente equilibrato, viene fuori un rapporto sereno, concreto, fatto di gesti, di parole, di decisioni prese insieme. Ovviamente, non sempre l’equilibrio è equilibrato, accade che una parte prenda il sopravvento. Ed è allora che deve subentrare la forza dell’intelligenza e della volontà. Quando non lavori alle dipendenze di qualcuno, ma tutto dipende da te, gli affari vanno bene, l’azienda cresce, gli operai obbediscono, i mercati si allargano, il rischio di essere risucchiato nel vortice degli affari è forte.

È il caso di Giacomo, gran lavoratore, determinato, in gamba, intelligente. Eppure qualcosa non torna. Giacomo, nello scorrere degli anni, non si accorge che il successo ottenuto gli presenta un conto salatissimo, gli porta via tanto tempo prezioso, quello stesso tempo che avrebbe dovuto dedicare a sé stesso e ai figli. Il lavoro che ama lo assorbe e lo seduce totalmente. In buona fede, si convince di sgobbare da mattina a sera per loro. Li farà eredi di un patrimonio, il denaro accumulato renderà loro la vita più facile in questo mondo dal domani sempre incerto. La realtà, però, è diversa, ma Giacomo non se ne accorge.

C’è un tempo per ogni cosa. Ci sono malattie – pensate alla poliomielite – che, una volta contratte, anche dopo la guarigione lasciano segni permanenti. Ci sono, altresì, malattie invisibili ma non meno dolorose i cui sintomi corrono il rischio di passare inosservati. Bambini, ragazzi, giovani che chiedono di essere ascoltati, abbracciati, coccolati. Di giocare con il papà, la mamma, progettare e andare in vacanza con loro, non con la nonna; o, almeno, non solo con la nonna. Beati quei genitori che sanno mettere insieme i diritti dei figli con i loro doveri. Benedetti coloro che sanno dire basta al momento giusto. Se un padre disoccupato è una disgrazia, un padre che al lavoro sacrifica tutta la giornata non lo è da meno. Sta dimenticando che il tempo che scorre via veloce altro non è che la sua stessa vita, dalla quale dipende la vita, la serenità, la felicità dei figli.

Impariamo dal fornaio. Per ottenere un buon pezzo di pane deve pesare con accuratezza le dosi di farina, sale, acqua, lievito. E fare attenzione ai tempi di cottura. Non è proprio facile, ma è possibile.

Padre Maurizio Patriciello su Avvenire

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