Ad Arezzo ha riaperto Casa Petrarca – un racconto di Giorgio Gibertini
Laura non sapeva bene cosa cercasse quel giorno. Aveva preso un treno per Arezzo spinta da un impulso, un bisogno di silenzio, di bellezza, di aria antica. Aveva letto su un sito che la Casa di Petrarca, che aveva appena riaperto il 14 aprile, era piccola ma piena di luce. E a lei, in quel momento della vita, serviva luce.
Entrò nel cortile quasi in punta di piedi. Il profumo delle pietre vecchie, il suono leggero dei suoi passi sulle scale. Una sala con libri, vetrine, e un video in cui una voce diceva: “Petrarca, Franciscus, peregrinus ubique”.
“Pellegrino ovunque…” ripeté a mezza voce.
“Così mi chiamavano”, disse una voce dietro di lei.
Laura si girò di scatto. Un uomo era apparso accanto alla finestra. Semplice, elegante. Un viso che sembrava uscito da un dipinto ma vivo, caldo. Sorrideva.
“Mi scusi, lei lavora qui?”
“In un certo senso. Potremmo dire che sono di casa.”
Ridevano. Lei, un po’ confusa, lui perfettamente a suo agio.
“Francesco,” disse porgendole la mano.
“Laura,” rispose lei, stringendogliela. Poi rise: “Sì, proprio Laura. Sembra uno scherzo.”
“Ma io non credo agli scherzi del destino. Credo nei cerchi che si chiudono. O si aprono.”
Camminarono insieme per le stanze. Lui le parlava della sua passione per i libri, per la pace, per l’anima in cerca. Lei, un po’ imbarazzata, ammise: “Io di lei conosco solo qualche poesia del Canzoniere… ‘Chiare, fresche et dolci acque’… e poco altro.”
Francesco sorrise. “Allora dobbiamo rimediare. Sai che ho scritto anche lettere? Trattati morali? Lamenti e invocazioni? Ho scritto più in latino che in volgare. Ho cercato Dio, l’uomo, la pace. Ho scritto perché non potevo fare altro.”
Le mostrò una parete dove erano incise parole sue:
“E volo sopra il cielo, e giaccio in terra, e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.”
Laura si fermò. “È bellissimo. Ma com’è possibile vivere così? Volare e giacere. Nulla e tutto. Terra e cielo.”
Francesco la guardò negli occhi. “Ecco cosa vuol dire essere pellegrino ovunque. Cercare senza pretendere. Amare senza possedere. Camminare anche stando fermi.”
Fuori la campana della città suonò l’ora. Laura si voltò. L’uomo non c’era più. Solo una penna, posata sul tavolo. E accanto, un biglietto:
“Scrivi tu ora. Io ho scritto abbastanza.”
Uscì leggera. Pellegrina anche lei, da quel giorno. Ubique.
